Fino a pochi mesi sarebbe stato impensabile immaginare l’impatto che una crisi sanitaria globale avrebbe potuto avere a tutti i livelli: politici, sociali, giuridici, economici, psicologici.
Ed infatti è in corso a livello planetario una discussione a proposito di ognuno degli ambiti coinvolti dalla crisi generata dal Covid19.
Il livello economico è sicuramente il più evidente a causa delle conseguenze che coinvolgeranno, nel breve periodo, fasce molto ampie di popolazione.
Tale crisi peraltro si dispiega in un sistema che non ha ancora del tutto superato quella, prettamente finanziaria, di un decennio fa. E lo fa in un sistema mondiale in profonda ristrutturazione, già alle prese con le conseguenze dei cambiamenti climatici. Sistema nel quale si confrontano alcune macroregioni in profonda competizione: Stati Uniti, Cina, economie asiatiche non cinesi, Europa.
Fra queste quella che appare meno pronta ad assumere una posizione convintamente unitaria è proprio quella europea, da sempre frenata dall’incapacità di costruire una vera e propria unità politica, dotata di organi rappresentativi, oltre a quella monetaria e, parzialmente, economica.
E tale difficoltà si registra anche in occasione del dibattito in corso nel continente a proposito delle misure da intraprendere a contrasto della crisi economica scatenata dalla pandemia.
Non bisogna sottovalutare ovviamente la portata delle decisioni già prese e delle misure economiche messe in campo: il Mes cosiddetto sanitario, il meccanismo di protezione occupazionale garantito dal Sure, gli investimenti gestiti dalla Bei, la conferma del Quantitative Easing da parte della Bce, il progetto di Recovery Fund finanziato da obbligazioni della Commissione Europea. Ma aldilà dei punti ancora non del tutto chiariti, su tutti quelli legati alle condizionalità e alla tempistica, la sensazione è quella di un approccio, pur in un quadro di forte e positiva discontinuità a livello di politiche economiche, non del tutto all’altezza della situazione. Come se si pensasse di affrontare una crisi di queste dimensioni con strumenti ordinari, magari potenziati.
Il dibattito in corso a livello mondiale sembra invece dare per scontato che ci troviamo di fronte ad una crisi che mette in discussione le teorie economiche e le politiche adottate.
Quello che sembra un punto sufficientemente accettato è che sarà necessaria una fase nella quale gli investimenti pubblici dovranno avere un ruolo determinante. Meno consenso ovviamente si registra sui beneficiari e sulle politiche industriali da adottare.
Quella che per ora manca è una riflessione sul ruolo che il sistema creditizio dovrebbe svolgere in tale frangente. Appare difficile pensare che una simile attività, di investimenti ad alto moltiplicatore e socialmente ed ecologicamente orientati, inseriti in un quadro coerente di governo dell’economia, possa essere svolta senza dotarsi di strumenti pubblici, e quindi di una banca pubblica o di una rete di banche pubbliche. Del resto in altri settori, esemplare quello dei trasporti, la strada intrapresa è questa e prevede l’abbandono di impostazioni esclusivamente ideologiche.
Altra riflessione dovrà riguardare i parametri utilizzati per valutare il sistema creditizio. Continuare a concentrarsi esclusivamente sulle sofferenze (npl), soprattutto in una fase di profonda crisi economica che richiede anche scelte di erogazione creditizia coraggiosa, non aiuta l’economia reale. Soprattutto se nel frattempo si continua a valutare con indulgenza la politica reddituale basata sui derivati, che altro non sono che scommesse finanziarie con differenziati livelli di alea.
Una rete di banche pubbliche potrebbe anche garantire una ricerca di strumenti contrattuali orientati alla valorizzazione delle professionalità e alla responsabilità sociale di impresa e riportare l’attività creditizia alla sua funzione sociale.
Antonio Damiani
Sono d’accordo con Damiani sulla disamina relativa alla pandemia in atto ed alle conseguenze presenti e future. Osservo però che andrebbe riconosciuto che il grande sconfitto di questa pandemia è il Mercato così come si è evoluto nel corso degli ultimi anni: poche regole, spesso disattese, globalizzazione selvaggia, imposizioni di dazi usate come arma di pressione se non di ricatto, fiscalità frammentata e divisiva anche in seno alla stessa UE. Con riferimento alla necessità di banche pubbliche: è di questi giorni la polemica su ritardi ed eccessiva burocrazia da parte di molte banche nell’accogliere le domande relative ai finanziamenti di 25.000 euro previsti dal Governo con garanzia totale dello Stato; ci si dimentica con troppa disinvoltura della crescente importanza imposta relativa ai c.d. crediti in difficoltà, delle Basilee di Damocle che si sono succedute, del mancato o tardivo supporto statale alle banche in difficoltà a seguito dell’ultima crisi finanziaria (supporto fornito tempestivamente e generosamente da Germania e Francia ad esempio). Certamente l’esistenza di banche pubbliche costituirebbe un più agile strumento creditizio per le azioni di governo di sostegno ad imprese e famiglie, senza tuttavia nascondersi i rischi di storture e malaffare insiti in una gestione a mano pubblica del credito bancario. Certamente tutto quanto esposto va inserito in un’ottica di globalizzazione economica ormai avanzata, con relative luci ed ombre; ma questo argomento andrebbe analizzato con un’attenzione che non è opportuna in questa sede.