Se 50 anni vi sembran pochi

E’ in tempi straordinari che si fanno salti di qualità. Nel bene come nel male. Il coronavirus non ha lasciato spazio alla politica dei piccoli passi o degli aggiustamenti più o meno di facciata. Malgrado stimoli economici mai sperimentati prima in tempo di pace, si continuano infatti a prevedere chiusure aziendali e perdite di posti di lavoro che, secondo le ultime stime della McKinsey arriverebbero a 60 milioni in Europa e 57 negli USA.

Ciò non avviene nel vuoto spinto. Il quadro della vita umana sul pianeta terra è profondamente scosso da altre sfide fondamentali, quali il rischio esistenziale per eccellenza, quello del cambiamento climatico e le nuove frontiere delle tecnologie digitali alla volta dell’Intelligenza artificiale.

Tuttavia, secondo me, la pandemia è stata decisiva nel mettere in luce l’esigenza di una forte discontinuità strategica che sta definitivamente spazzando via i fondamenti teorici del trentennio neo-liberista. Essa ha evidenziato il bisogno di più Stato e non di meno Stato nelle scelte che attengono la vita collettiva, all’insegna dell’interesse comune.

E ha evidenziato l’esigenza di più collaborazione e non di meno collaborazione delle comunità nazionali all’interno e tra le regioni del mondo, affermando il bisogno di rinnovare e ricostruire gli assetti istituzionali in cui tale collaborazione dovrà estrinsecarsi. Ma per un cambiamento genuino bisogna, a mio avviso, scendere in profondità.

Non basta infatti il sia pur decisivo, rinnovato interesse per la macro-economia e la politica economica, negato solo dal provincialismo reazionario di alcuni settori industriali e finanziari italiani, ben rappresentati dalle parole sguaiate del presidente della Confindustria o da quelle arroganti del presidente della FCA. Occorre anche operare quella riforma istituzionale che serve a guidare tale cambiamento.

Già prima del Coronavirus si stava facendo strada anche all’interno dei vertici decisionali cosmopoliti l’esigenza di spostare l’asse dell’iniziativa economica dall’imperativo categorico della creazione di valore per gli shareholders a una maggiore attenzione agli stakeholders.

Era, sostanzialmente, l’ammissione dell’insufficienza e della erraticità dell’ideologia neo-liberista che ha prodotto il susseguirsi di crisi globali cicliche e il consolidarsi di una “stagnazione secolare” per usare il termine coniato da un importante economista mainstream americano. Ed era nel contempo l’esigenza di uscire da una dimensione esclusivamente finanziaria per tornare all’economia reale.

Questo ritorno è stato bruscamente e brutalmente imposto dalla pandemia, il cigno nero che molti scienziati avevano predetto ma che nessun policy maker aveva mai realmente messo nel conto.

Siamo all’oggi.

E alla opinione da me espressa all’inizio dell’articolo. Tempi straordinari impongono scelte straordinarie. Il ritorno al solito usato sicuro non funziona più, almeno a me così sembra. Ma per rinnovare dalle fondamenta il patto alla base della nostra convivenza sociale e civile, è importante anche il processo della sua costruzione e i soggetti che sono chiamati ad elaborarne e condividerne le scelte.

Tale processo non può che essere profondamente democratico. Non populista, bensì consapevolmente partecipato, al fine di ricostruire quel rapporto di fiducia ormai consumato tra rappresentati e rappresentanti. Ciò vale per la dimensione europea e vale per la dimensione nazionale nonché per quelle locali.

Da un lato, non è pensabile affidare alla tecnostruttura di Bruxelles l’esclusiva discrezionalità circa l’ammissibilità dei progetti nazionali ai finanziamenti comunitari e la verifica della loro coerenza con la strategia comune e occorre quindi valorizzare, ridare spazio decisionale reale e dignità al Parlamento Europeo.

Dall’altro, a livello nazionale, le istituzioni della rappresentanza elettiva vanno corroborate e arricchite con una partecipazione attiva delle espressioni organizzate della società. E’ in questo quadro che, penso, si collochi una riflessione sull’insostituibile ruolo di rappresentanza del sindacato confederale italiano.

Un lungo cammino, del resto iniziato il 20 maggio 1970 con lo Statuto dei diritti dei lavoratori.  La nostra peculiare, preziosa esperienza storica va preservata e proiettata nel futuro anche con una serie di interventi legislativi ormai non più rinviabili.

In primo luogo va fatta una legge sulla rappresentanza, in applicazione del dettato costituzionale, che conferisca efficacia generale agli atti compiuti dal sindacato in rappresentanza dei lavoratori attraverso il riconoscimento e la verifica della sua reale rappresentatività, intesa come verifica della sua consistenza organizzativa, della democrazia interna, della trasparenza del suo funzionamento e del suo finanziamento.

In secondo luogo, non certo in ordine di importanza, va cambiato il diritto societario, introducendo la struttura decisionale duale delle società, attraverso un organo di sorveglianza eletto dai lavoratori.

Ciò è intrinsecamente collegato all’esigenza di democraticizzare e di modificare in senso positivo il legame sbagliato che si è creato tra politica ed economia al fine di preparare le condizioni per un intervento pubblico realmente finalizzato al bene comune. E anche per finalizzare a investimenti sociali, sempre nell’ottica del bene comune, le tante risorse di risparmio privato oggi gestite dai fondi pensione.

Due proposte, queste mie ultime, che potrebbero apparire non prioritarie oggi, di fronte alla drammaticità della situazione economica e sociale che ci attenderà in autunno ma che invece, secondo me, sono un indicatore preciso della direzione che intraprenderemo per riconquistare un percorso di crescita stabile e sostenibile. Non dobbiamo nascondere la verità dietro il coronavirus. Da ben prima della pandemia e del blocco delle attività che ne è seguita, la nostra economia ristagnava dietro tutte le altre ed era già in recessione tecnica. E’ possibile che le vecchie, usurate ricette possano farci uscire dai guai?

A questa domanda vanno date risposte convincenti.

 

                                                                                            Nicoletta Rocchi

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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