di Ascanio Celestini
Giorgia Meloni si prende il lusso di candidare Crosetto. Lui ringrazia e sfoggia i tremila messaggi ricevuti su WhatsApp.
I nipoti dei missini, pronipoti dei repubblichini dalla loro opposizione dorata possono fare quello che vogliono. Non hanno mai avuto responsabilità di opposizione vera perché fino all’altro ieri contavano solo quando scendevano in piazza a fare a schiaffi. Poi hanno cominciato a prendere voti e si sono costantemente tenuti un palmo fuori dal governo nazionale capitalizzando la paura e l’ignoranza. Ora, nella caciara delle elezioni del Presidente, possono persino presentare un politico di stampo quasi berlusconiano: imprenditore che fa finta di essere prestato alla politica per il bene del paese. E giustificano la mossa col bisogno di «smuovere le acque», dice Giorgia, e poi perché è «una persona stimata» che sarebbe votata da tutti gli italiani. In sintesi: ci vuole il presidenzialismo!
Berlusconi s’è fatto l’ennesimo giro di giostra. Come re carnevale ha messo la corona per un giorno. Nel frattempo ha sparso i suoi nei vari gruppetti dislocati al centro o infilati tra Lega e FdI. Moltissimi stanno in giro per regioni e comuni in attesa di tornare in Parlamento o volare in qualche azienda. Alfano è la sua creazione più esemplificativa. Uno che ha occupato i vertici del potere, ma non se lo ricorda più nessuno. Capacità di incidere nella memoria pari a zero. Eppure c’è stato e ha comandato. Ora se ne sta a dirigere la sanità privata. Prova che ormai chi comanda non fa differenze tra una poltrona e l’altra, a Montecitorio o in una qualsiasi altra azienda.
La compagine che fu di Grillo e Casaleggio, quella arrivata nel Palazzo con l’apriscatole, è una folla sparpagliata. Esemplare fu la scelta di non candidare i fondatori. L’unico caso in cui il capitano non può essere accusato di abbandonare la nave prima dei suoi marinai… perché i capitani non ci sono mai montati su quella nave.
Il PD continua a giocare il suo eterno ruolo di mediazione. C’è sempre.
È un esercito di funzionari che sanno dove mettere le mani. Non è un partito, ma una società di servizi. Potrebbero scegliere il prossimo Presidente come la prossime ditta di pulizia, il prossimo fornitore di cancelleria. «Signori in modesto doppiopetto, bocciofili, amanti della litote». Erano così nel ’68 e tali sono rimasti anche dopo il trasloco dalle Botteghe Oscure. Qualcuno più più pimpante forse invidia Renzi che se n’è uscito con la mossa del cavallo dalla bocciofila del Nazareno. Mezzo PD potrebbe stare in Italia Viva e viceversa. Non se ne accorgerebbe nessuno.
Salvini è il vero sconfitto degli anni ’10 di questo nuovo millennio. S’è fatto la gavetta nel partito quando strillavano «Senti che puzza, scappano anche i cani: sono arrivati i napoletani» Ha disintossicato i razzisti puri e ha puntato su un’intolleranza più internazionale. Non più contro i meridionali d’Italia, ma contro i meridionali del mondo. Cinque minuti prima della pandemia ha provato il colpaccio. Ma in un pomeriggio ha capito che il Palazzo non si apre col piede di porco, gli hanno cambiato le chiavi della serratura e l’hanno messo alla porta. Il suo pacchetto di voti tiene ancora, ma è fragilissimo. Appena comincerà la vera corsa al potere, con le prossime elezioni, vedremo se la Meloni lo brucerà.
A sinistra del centrosinistra sono andati tutti via. Qualcuno continua a fare politica scivolando verso destra con la scusa che, se non si andasse da quella parte, sarebbe tutto inutile. Perché è al centro che si manovra qualcosa.
Qualcun altro è scivolato fuori dai partiti con la scusa che si può fare di più e meglio se non ci si infanga con le alleanze strategiche, la corsa alle poltrone, i compromessi per amministrare qualcosa.
E poi c’è la sinistra che non c’è mai stata. Quella della mia generazione. Quella che legge tanto, è sempre presente dove succede qualcosa, appoggia le lotte, le condivide in strada e su Facebook.
Abbiamo imparato a partecipare. Con l’ottimismo della volontà facciamo il biglietto per il viaggio di andata. Il pessimismo della ragione ci accompagna al ritorno.
Era chiaro per tutti che Pasolini sarebbe rimasto comunista fino alla morte. E l’hanno preso in parola passando sul suo corpo, lasciandogli i segni di copertone lungo la schiena.
Calvino s’è accorto che tra «i fatti della vita» e «l’agilità scattante e tagliente» della scrittura «c’era un divario che mi costava sempre più sforzo superare». L’ha aggirato con un passo di danza deresponsabilizzando il suo presente di piombo, ma anche i posteri e i nipoti dei posteri.
Questa è la mia generazione.
Quella che non ci prova nemmeno perché hanno già fallito gli altri venuti prima di noi. E non è possibile fallire meglio di Pasolini e Calvino.