Tokyo ha deciso: verserà in mare l’acqua radioattiva di Fukushima
A dieci anni dall’incidente nucleare in Giappone, l’esecutivo guidato da Suga sceglie di rilasciare nell’oceano 1milione di tonnellate di acqua. Sono 200 i m3 giornalieri che si accumulano nelle cisterne dopo essere servite per raffreddare le barre di combustibile radioattivo. L’acqua subirà un processo di decontaminazione che ha degli aspetti controversi
Il governo sostiene che sia un passo fondamentale per il decommissioning dell’impianto Daichi di Fukushima
Dopo qualche mese di incertezza è arrivata la decisione finale del governo giapponese. L’acqua contaminata di Fukushima verrà rilasciata nell’oceano. L’operazione durerà circa 2 anni e riguarderà 1 milione di tonnellate di acqua usata per il raffreddamento dei reattori della centrale nucleare di Daichi devastati dal terremoto e dallo tsunami del marzo 2011.
Perché Tokyo vuole rilasciare l’acqua di Fukushima
Fin dalle prime fasi di contenimento all’indomani del disastro di Fukushima era diventato evidente che si sarebbe presentato un enorme problema legato all’acqua. All’inizio erano prevalentemente legati alla contaminazione dell’oceano e delle falde acquifere della regione. Nel 2013, ad esempio, il monitoraggio di alcuni pozzi non distanti dall’impianto aveva registrato valori di cesio-134 anche 100 volte superiori alla norma.
Ben presto parlare di acqua a Fukushima è diventato invece un problema di stoccaggio. Il nocciolo fuso dei reattori deve essere raffreddato costantemente con il liquido. In questo processo, l’acqua si contamina e deve essere stoccata. La soluzione della Tepco, l’azienda che gestisce gli impianti, è conservare quest’acqua all’interno di apposite cisterne a ridosso della centrale.
Ma c’è un problema di stoccaggio, sostiene la Tepco. Lo scorso ottobre l’azienda aveva fatto sapere ai giornali che lo spazio a disposizione si sta esaurendo velocemente. Al momento sono presenti 1,3 milioni di tonnellate di acqua e secondo le previsioni non ci saranno più cisterne disponibili entro l’estate del 2022. Il governo ha vagliato le opzioni possibili e ritiene che lo sversamento in mare, dopo un trattamento che non riesce strutturalmente a eliminare tutte le forme di contaminazione dell’acqua, sia quella migliore.
Per il governo è un passo obbligato nel percorso di decommissioning della centrale di Fukushima. “Il rilascio dell’acqua trattata è un compito inevitabile per smantellare la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi e ricostruire l’area di Fukushima”, ha detto il primo ministro Yoshihide Suga, sottolineando che il processo di smantellamento richiederà decenni per essere completato.
Cosa verrà rilasciato nell’oceano?
La Tepco sverserà in mare quasi tutta l’acqua che oggi è stoccata nelle cisterne di contenimento nei pressi dell’impianto. Prima di rilasciarla, la tratterà con un procedimento di decontaminazione. A grandi linee si tratta di filtrare l’acqua irradiata, poi di diluirla con acqua di mare, quindi di rilasciarla. Ma il procedimento è molto controverso. Il motivo è semplice: non esiste un modo per decontaminare davvero l’acqua di Fukushima. Quello che userà la Tepco riesce a eliminare la maggior parte delle sostanze radioattive. Ma non tutte.
Resta ad esempio il trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. Solitamente gli esperti tendono a non considerare la contaminazione da trizio come un grande problema, perché ha un basso impatto sull’organismo umano e una vita molto breve grazie a un periodo di decadimento di soli 12 anni. Oltre al trizio però c’è anche il carbonio-14, e qui la faccenda cambia completamente.
Il processo di trattamento delle acque messo a punto da Tepco, l’Advanced Liquid Processing System (ALPS), non è stato pensato per affrontare il carbonio-14. Questo isotopo radioattivo è integrato nel ciclo del carbonio, il che significa che viene incorporato da tutti gli organismi viventi in diverse concentrazioni. Ma soprattutto ha un’emivita enormemente più lunga di quello del trizio: 5.730 anni.
Uno studio di Greenpeace pubblicato l’autunno scorso metteva in guardia dai rischi che possono nascere se quest’acqua contaminata viene rilasciata nell’oceano. Il carbonio-14 “si concentra nel pesce a un livello migliaia di volte superiore al trizio. Il carbonio-14 è un importante contributo alla dose collettiva di radiazioni umane e ha il potenziale di danneggiare il DNA umano”, spiegava Shaun Burnie di Greenpeace. Quindi questo isotopo “insieme ad altri radionuclidi nell’acqua rimarrà pericoloso per migliaia di anni con il potenziale di causare danni genetici”, visto che in teoria può interagire con il nostro dna.
I vicini del Giappone protestano
E non è solo l’opinione di Greenpeace, visto che tutti gli Stati vicini e soprattutto la Cina si sono lamentati a più riprese di questa soluzione. La paura principale dei paesi dell’estremo oriente è che ci siano ripercussioni sulla pesca. Alcune analisi fatte sull’acqua decontaminata, inoltre, hanno talvolta riscontrato dei livelli di sostanze radioattive ben più elevati del previsto. Rutenio, stronzio, cesio e iodio sono gli elementi che dovrebbero sparire attraverso l’ALPS. Eppure almeno per iodio e rutenio sono stati rilevate quantità in eccesso. In tutto sono 62 gli elementi radioattivi che contaminano i liquidi di raffreddamento di Fukushima.
“Questa azione è estremamente irresponsabile e danneggerà gravemente la salute e la sicurezza pubblica internazionale e gli interessi vitali delle persone nei paesi vicini”, ha affermato il ministero degli Esteri cinese in una dichiarazione sul suo sito web. La Corea del Sud ha espresso “serie preoccupazioni che la decisione possa avere un impatto diretto e indiretto sulla sicurezza del nostro popolo e dell’ambiente circostante”, aggiungendo che aumenterà le proprie misurazioni e il monitoraggio radiologico. Anche Taiwan ha manifestato forte preoccupazione.
Quali alternative?
Non è affatto la prima volta che il governo giapponese pensa di rilasciare l’acqua di Fukushima nell’oceano. L’idea si è fatta strada già nel 2019 e poi è stata ripresa lo scorso autunno. A giugno la Tepco dichiara che entro il 2022 lo spazio di stoccaggio sarebbe finito (la previsione è rimasta invariata). Ogni giorno bisogna immagazzinare 200 metri cubi d’acqua necessari per raffreddare le barre di combustibile nucleare radioattivo.
E già allora l’esecutivo aveva valutato qualche soluzione alternativa. La più scontata è costruire altre cisterne. Oggi sono più o meno 1.000 ma il governo e la Tepco non vedono di buon occhio questa opzione. Il motivo è semplice: i frequenti terremoti a cui è esposto il Giappone non renderebbero davvero sicura questa soluzione. Lo stesso ragionamento ha portato i tecnici di Tokyo a scartare l’ipotesi di costruire dei depositi sotterranei.
Resterebbe però un’alternativa che non sembra essere stata vagliata con attenzione dal governo. Ed è anche stata già testata. Da più parti in questi anni si è suggerito di far evaporare l’acqua contaminata di Fukushima. Una minima parte dovrebbe comunque essere sversata in mare. Una soluzione possibile, già testata e comprovata a seguito del meltdown nucleare verificatosi nel 1979 presso la centrale nucleare di Three Mile Island, negli Stati Uniti. Per sbarazzarsi di circa 8.700 tonnellate di acqua contaminata dal trizio furono necessari due anni di operazioni. Ad oggi non esiste un metodo efficace per sbarazzarsi del trizio, quindi la diluizione con altra acqua di mare finché i livelli di concentrazione non scendono sotto la soglia di guardia è considerata l’unica possibilità per trattarlo.