Testo di Francesco Guccini
Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
Con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
Quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
Ma nella fantasia ho l’immagine sua:
Gli eroi son tutti giovani e belli,
Gli eroi son tutti giovani e belli,
Gli eroi son tutti giovani e belli…
Conosco invece l’epoca dei fatti, qual’ era il suo mestiere:
I primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
I tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
Sembrava il treno anch’ esso un mito di progresso
Lanciato sopra i continenti,
Lanciato sopra i continenti,
Lanciato sopra i continenti…
E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
Che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano:
Ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
Sembrava avesse dentro un potere tremendo,
La stessa forza della dinamite,
La stessa forza della dinamite,
La stessa forza della dinamite.
Ma un’ altra grande forza spiegava allora le sue ali,
Parole che dicevano “gli uomini son tutti uguali”
E contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
La bomba proletaria e illuminava l’ aria
La fiaccola dell’ anarchia,
La fiaccola dell’ anarchia,
La fiaccola dell’ anarchia…
Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
Un treno di lusso, lontana destinazione:
Vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori,
Pensava al magro giorno della sua gente attorno,
Pensava un treno pieno di signori,
Pensava un treno pieno di signori,
Pensava un treno pieno di signori…
Non so che cosa accadde, perché prese la decisione,
Forse una rabbia antica, generazioni senza nome
Che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore:
Dimenticò pietà, scordò la sua bontà,
La bomba sua la macchina a vapore,
La bomba sua la macchina a vapore,
La bomba sua la macchina a vapore…
E sul binario stava la locomotiva,
La macchina pulsante sembrava fosse cosa viva,
Sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
Mordesse la rotaia con muscoli d’ acciaio,
Con forza cieca di baleno,
Con forza cieca di baleno,
Con forza cieca di baleno…
E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo
Pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto.
Salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura
E prima di pensare a quel che stava a fare,
Il mostro divorava la pianura,
Il mostro divorava la pianura,
Il mostro divorava la pianura…
Correva l’ altro treno ignaro e quasi senza fretta,
Nessuno immaginava di andare verso la vendetta,
Ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:
“Notizia di emergenza, agite con urgenza,
Un pazzo si è lanciato contro al treno,
Un pazzo si è lanciato contro al treno,
Un pazzo si è lanciato contro al treno…”
Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva
E sibila il vapore e sembra quasi cosa viva
E sembra dire ai contadini curvi il fischio che si spande inaria:
“Fratello, non temere, che corro al mio dovere!
Trionfi la giustizia proletaria!
Trionfi la giustizia proletaria!
Trionfi la giustizia proletaria!”
E intanto corre corre corre sempre più forte
E corre corre corre corre verso la morte
E niente ormai può trattenere l’ immensa forza distruttrice,
Aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto
Della grande consolatrice,
Della grande consolatrice,
Della grande consolatrice…
La storia ci racconta come finì la corsa
La macchina deviata lungo una linea morta…
Con l’ ultimo suo grido d’ animale la macchina eruttò lapilli elava,
Esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo:
Lo raccolsero che ancora respirava,
Lo raccolsero che ancora respirava,
Lo raccolsero che ancora respirava…
Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore
Mentre fa correr via la macchina a vapore
E che ci giunga un giorno ancora la notizia
Di una locomotiva, come una cosa viva,
Lanciata a bomba contro l’ ingiustizia,
Lanciata a bomba contro l’ ingiustizia,
Lanciata a bomba contro l’ ingiustizia!
Giuseppe Di Vittorio e l’art 39 della Costituzione
di Giuseppe Amari
Giuseppe Di Vittorio, ancora a metà degli anni ’50, reclamava l’applicazione dell’art. 39 della Costituzione sul sindacato e sulla contrattazione .
In merito all’ultima questione, la norma costituzionale stabilisce testualmente che i sindacati : “ possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.
“Secondo questa norma – commentava Di Vittorio – tutti i sindacati hanno il diritto a partecipare alle trattative sindacali e alla stipulazione dei contratti collettivi unitariamente e in proporzione dei loro iscritti”, e così continuava : “ In tal modo viene rispettato un principio base d’ogni convivenza civile; quello secondo il quale un contratto – un qualsiasi contratto – è valido soltanto quando è stato liberamente stipulato e accettato dai lavoratori interessati, a mezzo dei loro legittimi rappresentanti”.
Di Vittorio però era costretto a lamentare come alcuni parlamentari della Cisl (allora non c’era l’incompatibilità di cariche), a firma anche di Giulio Pastore, segretario generale di quella Confederazione, avessero presentato un disegno di legge teso a contravvenire all’art. 39.
In sostanza si prevedeva che il Governo potesse, con suo decreto, dare riconoscimento giuridico, con validità obbligatoria per tutti, a un contratto stipulato da una sola organizzazione anche se minoritaria.
Di Vittorio così commentava : “L’enormità, l’antidemocraticità e addirittura l’immoralità d’una tale proposta, non hanno bisogno di essere sottolineate”.
Poiché gli stessi proponenti si rendevano conto della gravità della proposta cercarono mitigarla. Si prevedeva la istituzione di una Commissione ministeriale dei Contratti collettivi formata da delegati di tutti i sindacati rappresentati però in modo paritetico (e non proporzionalmente agli iscritti) che avrebbe espresso però solo un parere consultivo.
Veniva ancora prevista la possibilità di indire un referendum confermativo, comunque dopo la approvazione del contratto. Ma la decisione di indire il referendum spettava sempre alla Commissione che deliberava a maggioranza, come detto sopra.
Allora, per fortuna, non se ne fece nulla tanto era incredibile la proposta. Ma l’aver trascurato, anche da parte sindacale, la rivendicazione dell’ applicazione dell’art. 39, ci porta oggi, nella rottura dei rapporti unitari confederali, nella degenerazione delle relazioni sindacali e con politiche governative antisindacali e antisociali, in una situazione di fatto simile (se non peggio) a quella prefigurata dal disegno di legge prima ricordato.
I passi citati e la vicenda sopra ricordata, sono tratti da I sindacati in Italia, scritti di G. Di vittorio, G. Pastore, I. Viglianesi, G. Rapelli, F. Santi, E. Parri, G. Canini, Laterza, Bari, 1955.
Nel 2013 Giuseppe ci regalò questa perla di storia. Purtroppo le iniziative odierne del Ministro Salvini sono qui a ricordarci la pochezza del nostro tempo. Forse la Costituzione su cui ha giurato il 22 ottobre del 2022 aveva qualche pagina strappata. Sta a noi ritrovarla prima che sia troppo tardi.