0″]
a cura di Ugo Balzametti
Le ferite aperte dal Civid-19
Un anniversario, il 18 marzo, che forse non avremmo voluto celebrare. La giornata in memoria delle vittime del Covid si è svolta a Bergamo per rendere omaggio ai tanti morti di quella città, avendo, ancora, negli occhi la scena drammatica di decine di camion dell’esercito incolonnati che di notte trasportavano le vittime in cimiteri di altre città.
Dopo un anno, forse si sperava di ricordare al passato quella inimmaginabile realtà, e invece, tra lockdown ed aperture alterne, tra mascherine e distanziamenti, ancora oggi ogni giorno contiamo tra i 350-400 morti e abbiamo superato le 103.000 vittime.
Le ricorrenze, però, possono anche diventare l’occasione per riflettere, per fare i conti con questo “killer” che ci ha fatto precipitare nella più grave crisi economica e sociale dopo quella del 29 dello scorso secolo.
E’ una realtà che sta cambiando tutte le relazioni socio-economiche su scala mondiale, sta sconvolgendo i nostri modelli di vita, sta ridefinendo le nostre priorità.
Se la realtà è questa, non ci sono soluzioni di compromesso. Una strada già la stanno percorrendo i gruppi di potere globali ed è quella di chiudere quanto prima le “ferite” aperte dalla esperienza liberista, al fine di ri-stabilizzare un modello ante Covid fondato sulla “crescita continua” che è una illusione creata da una filosofia di sviluppo ad oltranza.
Nonostante che il virus della pandemia sia stato descritto quasi un nemico invisibile, dobbiamo rilevare che la comunità scientifica ha ormai la consolidata certezza che il virus vive e si riproduce all’interno del nostro abitat, alimentato da un tipo scellerato di sviluppo che ha trasformato il 75% degli ambienti naturali terrestri e il 65% degli ecosistemi marini.
La vita è così frenetica che non ci accorgiamo più di quello che avviene intorno a noi, si è perduta la percezione della realtà. Si pensava che i pericoli maggiori venissero dall’alto, dal Sole che surriscalda un’atmosfera, intossicata dai gas sprigionati dalla combustione dei carburanti fossili. La morte è venuta dall’interno del corpo vivo della Terra.
“Il piano Nazionale di ripresa e resilienza” ripropone vecchi modelli di sviluppo basati sulla rigida trinità competitività-concorrenza- crescita ,intervenendo sul terreno dell’innovazione digitale e degli investimenti nel settore ambientale, tratteggiando una nuova fase di capitalismo digitale e verde.
La ideologia liberista ha fallito
Di contro sarebbe utile approfondire e fare propri alcuni insegnamenti che nascono dall’esperienza drammatica della pandemia, che ha ampliato le ferite inferte alla realtà socio-economica mondiale, aprendo la prospettiva di una alternativa di società.
1) La relazione tra produzione economica e riproduzione sociale ha visto sempre previlegiare la prima, non considerando produttiva la seconda. La realtà che abbiamo vissuto in questo anno ci dice che senza “la cura” delle persone, dell’ambiente non è possibile alcuna attività economica stabile. Le attività più umili sono state quelle più esaltate durante il periodo di lockdown, recuperando una dimensione di comunità che si era persa nel tempo.
2) Una società fondata solo sul mercato si è rilevata incapace di tutelare i suoi membri. Le politiche liberiste e di austerità hanno evidenziato i loro effetti negativi sui lavoratori del sistema sanitario, sui lavoratori della scuola, sui lavoratori dei trasporti, lasciando le fasce più deboli della popolazione senza alcuna tutela.
3) La struttura ideologica su cui si è sviluppata l’economia del mondo occidentale negli ultimi trent’anni si è fondata sul tema del debito e sui vincoli finanziari. Di fronte alla drammatica pandemia sono stati sospesi il patto di stabilità, il pareggio di bilancio e gli algoritmi del deficit. Dunque in una notte sono saltati la trappola del debito e dei vincoli finanziari, attraverso i quali si è costruita per decenni la gabbia dell’austerità e delle privatizzazioni.
4) Il virus ha potuto diffondersi rapidamente, utilizzando le strade di un modello globalizzato che fonda il proprio valore economico solo sulla velocità degli spostamenti di merci, di capitali e di persone. La connessione dei sistemi produttivi , finanziari e sociali che da decenni attraversa i territori estraendone valore, è andata in tilt evidenziando come il mito della velocità abbia come contraltare il blocco della produzione, del commercio, delle infrastrutture e delle relazioni.
Molti in queste settimane si sono chiesti quali scelte vorrà perseguire Draghi per governare il piano di resilienza . L’attesa di tutte le cancellerie europee è tanta, c’è fiducia che l’ex Presidente della BCE possa essere una garanzia sia per l’affidabilità del Paese sia per il rilancio economico europeo.
Come la sua competenza ed autorevolezza, ad esempio, lo aiuterà a gestire e conseguire gli obiettivi affidati alla Next Generation EU (Piano per la ripresa dell’Europa), la partita più significativa che l’Europa e il governo Draghi si troveranno ad affrontare?
Questa è una questione molto delicata, perché definire costi e selezionare gli obiettivi del Piano richiede un’attitudine non solo tecnica e/o politica ,in quanto le strutture tecniche/burocratiche della Commissione Europea dovranno valutare misure come l’orientamento al digitale o all’ambiente, non solo come incentivi per sostenere i processi di ristrutturazione aziendali, ma anche quanto incideranno i costi sociali dei processi legati al cambiamento del modo di vivere delle persone.
Oggi nulla è più come prima e il capitalismo europeo si giocherà le sue carte, a cominciare dalla Next Generation EU e dal Recovery Plan, riproponendo quell’ideologia liberista i cui effetti incideranno sulla carne viva di uomini e donne. Saranno solo i risultati realizzati l’unico metro di misurazione del loro effettivo valore politico.
Il rapporto del Gruppo dei 30
A questo punto cerchiamo di trovare risposte ai tanti interrogativi che scaturiscono dall’autorevolezza e dalla competenza di Draghi specie sul terreno a lui più consono, quello dell’economia e della finanza.
Qualche indizio può esser raccolto dal rapporto pubblico “Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid” (Rivitalizzare e ristrutturare il settore delle imprese dopo il Covid), presentato nel dicembre scorso e redatto da una Commissione presieduta dallo stesso Draghi, per conto del Gruppo dei 30.
Questa è una organizzazione internazionale fondata da Rockefeller nel 1978, con sede a Washington, composta da accademici e banchieri provenienti dalle più importanti banche centrali mondiali, finanzieri del settore pubblico e privato di tutto il mondo. Tra essi c’è anche Mario Draghi.
Il Presidente del Consiglio nel presentare il Rapporto ha sottolineato che “l’idea di questo report nasce da una valutazione che ci porta in una era differente. Siamo ancora in condizioni di emergenza, e sarà necessario in futuro prendere decisioni molto molto difficili e spesso impopolari” .
La situazione economica attuale è descritta in modo catastrofico: le economie mondiali si stanno avvicinando “ al bordo di una scogliera”. Nel Recovery Plan Europeo non ci saranno soldi per tutti. Si sta per entrare in un’era dove saranno necessarie scelte che potrebbero cambiare radicalmente le economie mondiali.
Le risposte del G30 si basano sulla consapevolezza che la crisi determina l’esistenza di “masse di imprese zombie” che sopravviveranno a stento.
Ai governi spetterà, secondo il Rapporto del G30, “di ridurre l’ampio sostegno dato alle imprese, spostandosi verso misure più mirate….focalizzate su “questioni strutturali, sulla solvibilità e sulla salute di lungo periodo del settore delle aziende”.
La ripresa economica non dovrà essere indiscriminata, bensì affidata alla “distruzione creatrice” della cultura liberista, come amava ripetere Schumpeter.
Questo significa che sarà necessario ridimensionare o chiudere le società non in grado di andare avanti, sopportando una elevata disoccupazione, affinchè altre aziende innovative possano ri-tornare sul mercato in modo concorrenziale.
Sarà fondamentale comunicare chiaramente all’esterno questi obiettivi e gestire le inevitabili reazioni contro lo smantellamento di programmi di sostegno già definiti , lasciando “morire” alcune fabbriche. Si dovrà mettere in campo tutta la strumentazione prevista dalla legge e dagli accordi per tutelare i lavoratori licenziati. Si mette in conto anche il dover intraprendere misure di sicurezza e di ordine pubblico.
Viene ribadito che lo Stato dovrà “limitare il sostegno pubblico solo in caso di fallimento di mercato”. L’autorevole pensatoio, a questo punto, si è posto una domanda fondamentale: come si garantisce la ripresa economica?
Alla luce dell’esperienza maturata circa la valutazione della redditività aziendale , la selezione viene lasciata al privato, al mercato, alle banche, agli investitori perché subiscono meno le pressioni politiche e sanno meglio valutare la solvibilità dei propri clienti .
Come è noto le banche, non subiscono pressioni politiche !!!! ( Banca dell’Etruria, MPS, Carige, Popolare di Vicenza ect)
Nel rapporto del G 30 viene sottolineato il modo in cui il potere pubblico debba intervenire: non più attraverso prestiti bancari garantiti, come avvenuto all’inizio della pandemia, quanto invece attraverso l’entrata diretta nel capitale delle aziende coinvolte nel default, in posizione di azionista di minoranza
Il ruolo dello Stato, dunque, è quello di fornire alle imprese capitale fresco, drenato dalla fiscalità generale, cioè dalle tasche dei lavoratori, senza acquisire posizioni di controllo.
Inoltre l’intervento pubblico, sottolinea il Rapporto, deve essere di sostegno al sistema finanziario anche attraverso la creazione di istituti ad hoc (bad bank) ,in questo modo si eviterebbe il problema dell’insolvenza delle imprese che potrebbe mettere in difficoltà le banche, oggi piene di crediti inesigibili. La non solvibilità delle imprese sarebbe scaricata, ancora una volta, sulle casse dello Stato, senza pericoli per le banche.
Se questa tipologia d’intervento salverà determinate aziende, non salverà né i lavoratori né i livelli occupazionali, ormai si parla di un milione di disoccupati.
In questo senso le parole del professor Padoan Schioppa ci aiutano a capire meglio: ”le riforme devono esser guidate da un unico principio: attenuare il diaframma di protezione che nel corso del Ventesimo secolo hanno allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere”.
Correndo con la fantasia, proviamo per un attimo ad immaginare un altro scenario che parta dalla crisi epocale provocata dal cambiamento climatico e dalla disuguaglianza sociale: l’intero sistema produttivo andrebbe rivoluzionato per mettere agricoltura, industria e terziario al servizio della cura del pianeta, della società, delle persone. Anche questo scenario comporterebbe una “distruzione creativa”, chiusura delle attività nocive e apertura di attività ecologicamente e socialmente orientate, ma di segno opposto: sarebbe la collettività e non il mercato a decidere cosa, come e perché produrre, mentre il sistema bancario sarebbe messo al servizio dell’interesse generale.
La società civile in marcia
Il Rapporto del G30 ha tratteggiato un quadro sufficientemente realistico di quello che ci aspetta nei prossimi mesi e si rimane basiti per come i giornalisti, i media, hanno trattato il Draghi pensiero. Per settimane si sono chiesti, in modo ancillare e stucchevole, come il Presidente del Consiglio avrebbe affrontato il tema del rilancio economico del Paese. Bastava sfogliare il Rapporto del dicembre scorso.
Per coerenza verso la sua filosofia, Draghi ha iniziato la sua navigazione governativa con un bel biglietto da visita: un condono da 500 milioni di euro per esaltare le sue “competenze” in materia fiscale.
Ma andando oltre la cortina di silenzio, che ha fatto impazzire i media, è convinzione diffusa che il Presidente non sia stato chiamato per fronteggiare l’emergenza, per questo bastava Conte, e nemmeno per guidare la ripartenza. L’obbiettivo è più ambizioso. L’emergenza può diventare l’occasione per un nuovo ordine socio-economico dei paesi industrializzati, e dalla pandemia l’Europa e l’Italia possono uscire riconvertendo la filosofia ex ante-Covid, sulla quale sono nate e cresciute.
L’Italia diventa , quindi, laboratorio politico di questa scommessa, che non può fallire pena il fallimento dell’Unione. Ne discende che le scelte programmatiche che il Governo farà saranno tutte incardinate entro le direttive europee.
Gli scenari aperti dalla crisi non vedono solo il G30 come attori sulla scena politica; nel corso di quest’ultimi anni sono nate e cresciute, soprattutto a livello territoriale, esperienze che ci dicono che c’è anche un altro modo di produrre, di fare cultura, di tutelare le persone , attraverso anche nuove forme di partecipazione che hanno permesso di recuperare il senso alto della politica.
L’associazionismo e le organizzazioni sociali, la cittadinanza attiva nei territori durante questi lunghi mesi hanno ovviato alla assenza dello Stato, sono scesi in campo per ritessere una realtà ormai lacerata e con una marginalità sociale non più concentrata solo nelle periferie, ma anche nei centri urbani delle nostre città.
La società civile ha deciso di rimettersi in marcia, reclamando un ruolo di motore di cambiamento sociale e convergendo verso una idea diversa, dove i diritti e l’ambiente vengono prima del denaro e degli interessi personali.
Liberare il potenziale dei nostri territori consente di offrire nuove e solide prospettive di ricostruzione personale e collettiva alle tante persone che vorrebbero ridisegnare i propri progetti di vita e consentire la rivitalizzazione di questi territori.
Le aree interne dell’Italia sono abitate da quasi 5 milioni di persone, aree che devono garantire i servizi fondamentali per la vita, quindi scuola, ospedali; vanno eliminati gli ostacoli alla qualità della vita e agli imprenditori giovani che già ci stanno scommettendo; e vanno messe in sicurezza, perché molti di questi territori coincidono con aree sismiche. Quest’ultime completamente dimenticate.
E’ sempre più chiaro che le ingenti risorse della Next Generation EU, 1.800 miliardi di euro, se saranno spesi per sostenere un cambiamento radicale, avranno un grande effetto positivo sul Paese.
Il Piano di resistenza e resilienza, infatti, non dovrebbe essere altro che concepire lo sviluppo garantendo coesione sociale e includendo le realtà che a livello decentrato hanno già sperimentato esperienze interessanti, creando occasione di nuovo sviluppo.
“Quindi è necessario avviare una politica inclusiva che riduca le disuguaglianze sia di reddito che nell’accesso ai servizi, specie quelli di cura, e realizzi un’attenta parità di genere, coinvolgendo i cittadini e le cittadine…partecipi del nuovo corso. Tutti i soggetti sociali ed economici, in grado di realizzare queste politiche in modo partecipato e che nel corso della pandemia hanno dimostrato tutto il loro potenziale”. (Forum Disuguaglianze Diversità )
Se si ritiene che occorra cambiare stile di vita, è necessario smettere di finalizzare l’economia e le innovazioni tecnologiche alla esagerata crescita della produzione di merci. Produrre bene significa produrre senza inquinare, senza danneggiare le altri specie viventi, senza lasciare qualcuno privo dei mezzi per vivere, consegnando alle generazioni future un mondo più vivibil