di Antonio Damiani
In occasione della proclamazione dello sciopero dei lavoratori Amazon, poi magnificamente riuscito, le dichiarazioni di parte aziendale tendevano a confermare l’assoluta attenzione da parte dell’azienda stessa nei confronti dei lavoratori e dei fornitori.
Dichiarazione assolutamente tranquillizzante ma che veicolava la convinzione che non fosse necessario nessun altro tipo di interlocuzione a partire da quella sindacale.
A chi scrive è venuto subito in mente che le stesse parole, quelle dell’attenzione al singolo lavoratore, venivano utilizzate dall’azienda nella quale allora lavorava, la Banca Mps, circa 10 anni fa, accompagnandole alla disdetta unilaterale del Contratto Integrativo e a un processo di esternalizzazione.
L’esternalizzazione è stata poi annullata da varie sentenze, ultima e definitiva quella della Corte di Cassazione, e il Contratto Integrativo è stato ricostruito grazie a serrate trattative sindacali con l’azienda costretta ad accorgersi che l’annullamento delle norme con aumentava la coesione aziendale ma la distruggeva.
Niente di nuovo quindi ma la pervicace convinzione da parte delle controparti aziendali, sostenute da correnti di pensiero neoliberiste di destra e di sinistra, della necessità di prescindere dai cosiddetti corpi intermedi e dalle procedure di mediazione sociale.
Come se l’interlocuzione fra aziende, spesso multinazionali, e il singolo lavoratore si svolgesse su un piano di parità.
Ed è proprio da questa disparità che bisogna ripartire nel tentativo di ricostruire qualche tutela per lavoratori sempre più isolati e costretti a rapporti di lavoro fintamente non subordinati.
Questi lavoratori hanno già cominciato ad organizzarsi e a lottare ma non possono essere lasciati soli dalle categorie più forti. E questo non solo per una doverosa solidarietà ma anche per opporsi ad una frammentazione e precarizzazione ormai dilagante.
Il sindacato confederale deve condurre questa lotta se non vuole proseguire sulla strada della marginalizzazione che rischia di investire l’intero mondo del lavoro.
Il sindacato confederale dovrebbe aprire una profonda riflessione sulla necessità di condurre una vertenza generalizzata a tutela dei diritti e dei salari (troppo spesso al di sotto di quello che dovrebbe essere considerato il salario minimo), iniziando dalle realtà nelle quali sono assolutamente mortificati.
E dovrebbe porsi, in maniera urgente, anche il tema delle politiche di welfare, a partire da acquisizioni teoriche e pratiche già consolidate, come il reddito universale di base, che avrebbe anche lo scopo di redistribuire flussi di profitto sempre più slegati dalla produzione materiale ma connessi alla cooperazione sociale.