E’ domenica, in un meriggio pallido ed assorto una comunità lenta ed esausta si è ritrovata intorno a Tommaso che ci ha appena lasciato dopo un silenzioso calvario, a cui forse pochi hanno prestato attenzione. Silenzioso come il cammino di quei gatti che egli amava tanto. Felice di averli intorno dopo aver aperto l’ennesima scatoletta scesa con lui dal vicino supermercato.
Si la jatta, proprio lui.
Bene ha fatto Don Stefano a ricordare, con rara delicatezza, durante la messa il soprannome con cui era conosciuto. In fondo, a pensarci bene, il soprannome altro non è che il battesimo con cui una comunità fa vivere i suoi valori, con la leggerezza di una sottile ironia nascosta dietro questi ingegnosi appellativi, proprio ora che un’umanità ogni giorno più piccola e sparuta fa fatica a riconoscersi.
Tommaso era un uomo che non amava uscire dalle sue mura, si proprio come i suoi gatti, accarezzava i ciottoli che quotidianamente calpestava. Proprio per questo, le parole di Don Stefano acquistano un suono strano quando evoca il suo esempio di altruismo. Percorrendo via San Rocco, poco prima di una caditoia, c’è una piccola pietra d’inciampo, fatta pochi mesi fa con le sue mani. Un sampietrino mancante a cui lui aveva aggiunto uno spruzzo di cemento lungo una via dimenticata di questo piccolo paese. Ora che nel giorno di Santa Lucia anche la chiesa di San Rocco ha riconquistato la luce, quel cammino rende quella pietra una testimonianza autentica d’amore di Tommaso per questi nostri luoghi.
Proprio per questo ciascuno di noi deve sentire il dovere di non lasciare vuoto quel piatto che Tommaso quotidianamente riempiva per i suoi gatti.