I Re Magi del Mississippi

Chi conosce abbastanza bene Napoli, sa che c’è una piccola traversa di Via Toledo chiamata Vico Tre Re; è una delle zone più antiche della città e si tramanda che il curioso nome si riferisca ai Re Magi, se non fosse che incrocia Vico Tre Regine, e allora la faccenda si complica…
Conoscendo bene l’amore di Napoli e dei napoletani per la musica in tutte le sue declinazioni, a me piace pensare che i Tre Re siano da riferirsi ai tre King del Blues, Albert, Freddie, e B.B.
Riley B. King (la B in mezzo non si sa cosa voglia dire, non lo sapeva neanche l’intestatario…) nasce a Itta Bena nello stato del Mississippi il 16 settembre 1925, viene cresciuto dalla mamma e dalla nonna visto che il padre è andato altrove, e fin da bambino viene impiegato a raccogliere il cotone nei campi. Nel frattempo sviluppa una passione non comune per la musica nera, canta gospel nella chiesa e comincia a strimpellare una specie di chitarra. Promosso conducente di trattori, si fa benvolere, ma un giorno gli sfugge il controllo del trattore e finisce rovinosamente per abbatte un fienile; spaventato dalle conseguenze, fugge a Indianola e, dopo qualche tempo si stabilisce a Memphis, Tennessee, dove il cugino Bukka White, chitarrista slide, lo aiuta a perfezionare la sua tecnica dello strumento.
Qualche anno dopo, il giovane Riley inizia a partecipare a programmi radiofonici con il nome Blues Boy, poi abbreviato B.B.
Nel 1949, suona in un locale in Arkansas, fa freddo e per riscaldarsi non c’è di meglio di un barile pieno di kerosene acceso; come prevedibile il barile viene rovesciato ed il locale prende fuoco; mentre B.B. è sulla strada con i pompieri accorsi, si accorge di aver lasciato la sua chitarra nel locale, senza pensarci troppo si butta tra le fiamme e ne esce poco dopo un po’ abbrustolito, ma con la sua chitarra stretta in braccio.
Saputo che la causa del trambusto era stata una lite per una donna di nome Lucille, decide di chiamare la sua chitarra con quel nome, e per tutta la vita le sue chitarre si chiameranno Lucille. Nel corso della sua lunghissima carriera B.B. King ha suonato sempre e soltanto vari esemplari dello stesso modello, una Gibson Es 355 assolutamente nera, che la Gibson costruì su sue indicazioni e inserendo sulla paletta il nome Lucille.
B.B. King dopo una vita passata a suonare ovunque, la sua media era di 300 spettacoli all’anno, e con chiunque (Eric Clapton, John Mayer, Stevie Ray Vaughan, Elton John, Luciano Pavarotti, Ray Charles, Edoardo Bennato, solo per citarne alcuni), muore a Las Vegas, dove abitava, il 15 maggio 2005 lasciando un numero inverosimile di figli avuti da innumerevoli compagne.
La sua musica, fatta di fraseggi puliti, eleganti, una voce possente che dal vivo abbinava ad ammiccamenti al pubblico, quasi sceneggiando il brano, ha influenzato generazioni di musicisti, chitarristi e non solo; la sua tecnica basata sulla scala pentatonica, ha come caratteristica più evidente, l’uso di un vibrato potente e ripetuto (tecnica attuata muovendo ripetutamente e rapidamente la corda suonata in senso orizzontale, in genere usando il dito anulare, ma lui lo faceva anche con l’indice). B.B. è stato un uomo amabile, gentile, ben educato, con la cultura del lavoro ben salda; questo suo modo di essere a qualcuno è piaciuto poco, il qualcuno di turno gli ha rimproverato di non essere arrabbiato, di non usare testi politicamente schierati, di vestire con ricercatezza, di essere insomma il classico “nero che piace ai bianchi”. Vorrei precisare ai sempre troppo numerosi partigiani della tastiera, che il Blues tradizionalmente non ha testi “impegnati”, il più delle volte sono storie di sesso piene di doppi sensi, più raramente storie di sangue (sempre legate a rapporti amorosi), o di alcol.
B.B. King non aveva bisogno di abbigliamenti “contro”, lui era stato davvero nei campi di cotone, aveva abitato nelle baracche di legno delle piantagioni, aveva provato sulla propria pelle le reazioni violente di bianchi che aspettavano la sua band fuori dai teatri per prendere a colpi di pistola i musicisti. Aveva la fissazione del palco, “sul palco si sta in un certo modo!”, e dunque sfoggiava improbabili completi da sera e obbligava i componenti della band a fare altrettanto.
Memorabile il concerto tenuto nel penitenziario di Sing Sing il giorno del Ringraziamento del 1973

e il suo brano più conosciuto ed imitato “The Thrill Is Gone”

Albert Nelson (più tardi assunse il cognome King) nasce a Indianola (Mississippi) nel 1923, non lontano da luogo di nascita di B. B.; cresce in una famiglia molto numerosa composta da madre, nonna, e dodici fratelli, ma senza padre come B. B..
Inizia a strimpellare chitarre auto costruite con mezzi di fortuna e canta gospel in chiesa, come B. B.; trasferitosi con la famiglia in Arkansas, gli viene regalata la prima chitarra vera, con cui si esibisce in bar e roadhouses. Occorre chiarire che la chitarra di Albert è uno strumento per destrimani, mentre lui è mancino, ma Albert non è tipo da perdersi d’animo: imbraccia la chitarra al contrario e voilà, suona con il manico rovesciato e le corde al contrario!
Anche lui ebbe il suo modello preferito al quale rimase fedele tutta la vita: una Gibson Flying V, a forma di freccia cui dette il nome di Lucy.
Lo stile di Albert King, rispetto a B.B. è più irruento, con un timbro a tratti roco e saturo, ed è caratterizzato da “bending” esagerati (tecnica che consiste nello spostare lateralmente una corda per alzare la nota); anche lui ha influenzato centinaia di chitarristi nel corso degli anni, con molti dei quali ha collaborato.
Muore improvvisamente a Memphis il 21 dicembre 1992 per un infarto cardiaco.
Vi propongo un brano tratto dal suo ultimo concerto nel 1992 a Pori (Finlandia)

Freddy (più tardi Freddie) King è il terzo in ordine cronologico dei tre King del blues; nato nel 1934 a Gilmer (Texas) iniziò da bambino ad appassionarsi alla musica, spinto anche dalla sua famiglia; nel 1949 la famiglia si sposta a Chicago (illinois) e il giovane Freddy inizia ad ascoltare nei locali i mostri sacri del blues urbano di Chicago: T. Bone Walker, Muddy Waters, Howlin’ Wolf. Questa esperienza segnerà indelebilmente lo stile di Freddie, che riuscirà a miscelare il blues texano, più tradizionale, con quello di Chicago elettrico.
Questa mescolanza partorì un omone alto due metri e pesante 136 chili che cantava e suonava blues con forza, ma capace anche di momenti languidi: era il terzo King!
Il suo stile fatalmente lo avvicinava al rock come testimoniano i numerosi eventi condivisi con stelle del calibro di Eric Clapton e Grand Funk Railroad. I suoi strumenti preferiti furono una Gibson Les Paul Gold Top del 1954, e soprattutto una Gibson Es 345. È stato il primo a pubblicare album di successo strumentali, con brani come Hide Away che hanno rappresentato la bibbia di generazioni di chitarristi.
Come i suoi due illustri predecessori, Freddie non si risparmiava nei concerti, arrivando ad oltre trecento date l’anno; ma il tipo di vita, la sregolatezza, l’abuso di alcol (la sua dieta preferita era a base di Bloody Mary…) segnarono il gigante nero procurandogli numerose ulcere allo stomaco.
Nel 1976 a Dallas muore precocemente per complicazioni derivate da ulcere e pancreatite.

Mi piace pensare che il giovane Pino Daniele, scorrazzando per i quartieri spagnoli, in Vico Tre Re, abbia sentito nell’aria le note struggenti dei tre re del blues.



                                                                                                                              Massimo Rossi    

Informazioni su Walter Bottoni

Nato il primo settembre 1954 a Monte San Giovanni Campano, ha lavorato al Monte dei Paschi. Dal 2001 al 2014 è stato amministratore dei Fondi pensione del personale. Successivamente approda nel cda del Fondo Cometa dei metalmeccanici dove resta fino 2016. Attualmente collabora con la Società di Rating di sostenibilità Standard Ethics.
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