Siamo appena intervenuti sul grande tema dell’unità sindacale a proposito della formazione del nuovo esecutivo.
Non nascondiamo che l’argomento ha suscitato anche al nostro interno un vivace confronto e anche per questo motivo abbiamo ritenuto doveroso rileggere qualche frammento della nostra storia.
Eccone uno: tratto dalle conclusioni di Bruno Trentin alla Conferenza di organizzazione, Roma 9-11 novembre 1993.
Occorre un sindacato diverso e occorre un sindacato unitario.
Credo che nella Cgil non abbia proprio senso la polemica contro il sindacato unico quale pericolo incombente sul movimento operaio italiano, non ha senso perché la Cgil è nata nel dopoguerra, in aperta rottura, contro questo modello, perché siamo il sindacato di Di Vittorio che si è opposto alla formula, forse allora seducente, del sindacato unico, perché conservava le vecchie prerogative del sindacato corporativo fascista, perché tutta la nostra cultura si è fondata sulla coscienza che l’unità sindacale doveva creare al suo interno e fuori di sé più pluralismo, non meno pluralismo, e quindi tranquillamente possiamo dire che fino a che ci sarà la Cgil non ci sarà il pericolo del sindacato unico in questo paese.
Occorre, però, certamente un sindacato unitario, volontario, fondato sull’adesione volontaria, personale, libera dei singoli associati, un sindacato pluralista, democratico, capace, accanto ad altri sindacati di costruire un punto di riferimento credibile per tutti i soggetti del mondo del lavoro che avvertano il pericolo di una drammatica emarginazione o che sentano minacciati i loro diritti e il loro potere di agire collettivamente per il cambiamento.
Questi obiettivi non possono essere contrapposti, il sindacato dei diritti e il sindacato unitario camminano insieme, ma c’è bisogno, lo avverto anch’io come molti compagni in questa conferenza, di dare un segnale di partenza.
Sento che mai, come in questo momento, l’unità che è stato un obiettivo che ha segnato tutta la storia della Cgil anche in momenti più bui, che è stata assunta come un vincolo da questo sindacato nei suoi comportamenti (noi ci inibiamo la possibilità di stipulare contratti separati), avverto anch’io, però, che questo obiettivo dell’unità sindacale non può decadere nella coscienza dei cittadini e dei lavoratori o essere visto come un espediente per sfuggire alle incombenze di questa crisi drammatica che ricadono sulle nostre spalle.
Per costruire il sindacato unitario occorre riconquistare i titoli, prima di tutto tra i lavoratori, per essere protagonisti del cambiamento e per ridefinire su basi nuove i rapporti tra sindacati, forze politiche e istituzioni.
Il segnale di cui oggi c’è bisogno anche per dare nuova credibilità all’obiettivo unitario è la volontà pratica del cambiamento del nostro modo di essere sindacato.
All’interrogativo che alcuni compagni si palleggiavano durante la conferenza su quello che viene prima e quello che viene dopo io rispondo senza alcuna esitazione: diamo la prova che siamo capaci di cambiare e daremo la prima prova che l’unità sindacale è possibile in tempi politici, non storici, che può diventare concretamente un fatto che coinvolge una gran parte dei lavoratori italiani.