A Cura di Ugo Balzametti
Con la progressiva entrata in vigore delle misure restrittive alla nostra libertà di movimento, ha preso piede lo smartworking , parola sconosciuta per gran parte del paese (lavoro agile in italiano), ma ormai una realtà consolidata per i lavoratori delle grandi aziende, a partire dalle banche, dove da qualche anno, una parte dei dipendenti è abituata a lavorare anche da posti diversi dall’ufficio.
Dopo il decreto legge del 23 febbraio, con il quale è stato reso immediato il ricorso allo smart working, anche in assenza di un accordo individuale fra le parti, coloro che svolgevano le proprie mansioni restando fisicamente al di fuori dell’ azienda, hanno riguardato circa due milioni di addetti. Flessibilità ed autonomia nella scelta dei luoghi e degli orari, comunque entro i limiti di legge della durata massima giornaliera e settimanale.
E’ una modalità di rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi e obiettivi mediante accordo tra le parti; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare tempi di vita e di lavoro.
Da prerogativa di poche aziende a modalità prevalente di lavoro: nel 2017 i lavoratori erano 330 mila, nel 2019 erano circa 570 mila, oggi quasi 2 milioni.
La progressiva entrata in vigore di misure restrittive alla nostra libertà di circolazione, evitare assembramenti e garantire il distanziamento sociale ha favorito il ricorso alla tecnologia per garantire la continuazione delle attività produttive.
L’epidemia ha costretto un gran numero di persone, lavoratori dipendenti, autonomi, studenti, a ricorrere al lavoro o allo studio online. Il DPCM del 4 marzo 2020 ha stabilito che la modalità del lavoro agile (smartwork) fosse estesa , per tutta la durata dello stato di emergenza stabilita fino al 31 gennaio 2021, a tutti i rapporti di lavoro subordinato, anche in deroga a quanto stabilito dalla legge 81/2017.
Lavorare a distanza non è una novità, in quanto nel corso degli anni, il progresso tecnologico, la globalizzazione dell’economia, l’esternalizzazione dei processi produttivi hanno modificato l’organizzazione del lavoro e inciso sugli aspetti di spazio e di tempo della prestazione lavorativa.
Nasce dunque il telelavoro, disciplinato da linee guida della Confederazione Sindacale Europea (2002), come attività a distanza in cui la lavoratrice o il lavoratore svolgono la propria prestazione da casa, continuando a fare il lavoro che facevano in azienda e con gli orari di prima.
I responsabili apicali delle aziende, mantenendo il telelavoro la peculiarità di lavoro subordinato, hanno continuato e continuano ad esercitare il potere direttivo, il potere di controllo e quello disciplinare, a decidere la strumentazione tecnica da usare, i tempi e le procedure da seguire.
Il ricorso a sistemi di lavoro agile, o smart working, è disciplinato in Italia dalla legge 81/2017, relativa a “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” .In particolare l’art.18 definisce lo smartworking come “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli di orario o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante un accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.”
Il lavoro agile non è una nuova tipologia di contratto, ma una modalità del rapporto di lavoro subordinato, e si configura come elemento di rottura rispetto al modello di lavoro tradizionale.
Entrando nel merito di come fare smart working, sarà necessario rispettare norme precise e interpretare le esigenze del lavoratore e quelle del datore di lavoro. Fare smart working non vuol dire semplicemente portare il PC del lavoro a casa e usarlo.
Ci sarà da attenersi , nella definizione del contratto individuale, alla normativa di settore che regola il rapporto tra azienda e dipendente e definisce gli obblighi delle parti in caso di lavoro agile.
Con l’avanzare del processo di digitalizzazione e il progressivo superamento del vecchio modo di fare azienda, abbiamo già assistito ad una richiesta di flessibilità sempre maggiore e al superamento definitivo della regola della unicità di luogo-lavoro e tempo-lavoro.
La prestazione lavorativa assume un’autonomia sempre più ampia, la valutazione della quale è legata agli obiettivi raggiunti. Tuttavia , più che lavoro agile, sarebbe stato più corretto intenderlo come “smart working emergenziale”, in quanto la libera scelta del luogo di lavoro ha ceduto il passo all’obbligo di svolgerlo dal luogo di residenza.
A tale proposito l’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano sottolinea come “lo smart working non sia solamente un’innovazione contrattuale strumentale ad un nuovo di organizzare il lavoro, bensì costituisca una nuova filosofia manageriale che tenta di restituire al lavoratore autonomia e flessibilità, in contropartita di una crescente responsabilizzazione sui risultati del lavoro”.
Lo smart work non è una semplice iniziativa di welfare aziendale per i dipendenti. Al contrario si innesca un percorso di cambiamento culturale e richiede una evoluzione dei modelli organizzativi aziendali in quanto è un progetto multisciplinare che presuppone una governance integrata tra gli attori coinvolti.
Per dare concretezza ai principi organizzativi del lavoro agile, quindi, è necessario riflettere sulle regole e le linee guida relative alla possibilità di scegliere il luogo di lavoro, i propri strumenti di lavoro, e la flessibilità di orario (inizio, fine e durata complessiva).
Lo sviluppo qualitativo dei processi digitali possono ampliare e rendere virtuale lo spazio di lavoro, abilitare e supportare nuovi modi di lavorare, facilitare la comunicazione, la collaborazione e le relazioni professionali tra colleghi e con figure esterne all’organizzazione.
Naturalmente “il luogo di lavoro” per la sua atipicità sarà scelto con grande attenzione perché, in molti casi, la prestazione lavorativa avviene in spazi destinati anche ad altro, pensati, predisposti, organizzati da altri.
La progettazione degli ambienti di lavoro, di conseguenza, è fondamentale per garantire alle persone di lavorare in un luogo idoneo che soddisfi le loro esigenze professionali e tutelare le condizioni di efficacia, di efficienza e di benessere lavorativo.
La prestazione lavorativa viene effettuata in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, con i soli limiti di orario giornaliero e settimanale previsti dal CCNL e la piena libertà di scelta del luogo in cui svolgere la prestazione lavorativa. La valutazione delle performance è legata esclusivamente agli obiettivi raggiunti.
In materia di salute e sicurezza dobbiamo sottolineare che il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnici assegnati al lavoratore; deve consegnare al lavoratore e al RSL con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta, non formale, nella quale sono individuati i rischi generici e quelli specifici.
A tal proposito il D.Lgs81/2008 si applica integralmente a tutela di qualsiasi persona anche non subordinata che eserciti l’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, a prescindere dalla tipologia del contratto di lavoro
Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione disposta dal datore di lavoro per valutare i rischi connessi al lavoro esterno ai locali aziendali. Deve redigere il DVR tenendo conto anche della prestazione lavorativa fuori dai locali aziendali; il lavoratore ha diritto alla tutela, anche in itinere, contro gli infortuni sul lavoro.
La legge 81/2017 si presta ad interpretazioni non chiare in quanto, nel lavoro agile, il potere direttivo del responsabile aziendale opera nel perimetro del lavoro subordinato mentre la prestazione lavorativa per le sue peculiarità va assumendo sempre più le caratteristiche di lavoro autonomo. Di conseguenza la contrattualizzazione del potere direttivo, tipico del lavoro subordinato, risulta ridimensionata negli accordi siano essi individuali o collettivi.
Inoltre circa il potere di controllo, anche in presenza di un accordo individuale, il perimetro entro cui si muove il datore di lavoro è quello previsto dall’articolo 4 della Statuto dei Lavoratori. Tuttavia il governo Renzi con il job act ha pensato bene di eliminare l’esplicito riferimento del controllo a distanza .
Infine rispetto alla formulazione originaria dell’art.4 si distingue tra controllo a distanza sugli impianti e un controllo a distanza sugli strumenti da lavoro. I primi, relativi ad un controllo della prestazione di lavoro, continuano ad essere vietati; i secondi, cioè i controlli degli “strumenti di lavoro”, possono essere utilizzati previa informazione al lavoratore e consultato il sindacato aziendale.
In questo modo il datore di lavoro, esplicitate le formalità informative, può utilizzare i dati raccolti anche al fine di valutare la diligenza del dipendente, con evidenti implicazioni per quanto concerne , ad esempio, il profilo disciplinare del lavoratore. Il legislatore ha sottovalutato un problema complesso e assai delicato.
Un aspetto fondamentale per garantire la sicurezza nel lavoro agile, aspetto non adeguatamente valorizzato dal legislatore, è quello della in-formazione del lavoratore. L’obbligo della formazione continua è centrale, nella visione della prevenzione partecipata, soprattutto se pensiamo ai tanti rischi particolari che si possono determinare nei “luoghi” dove si lavora.
Soddisfare questo obbligo da parte del datore di lavoro, permette, prima di tutto, di riequilibrare le capacità cognitive della parte più debole del rapporto di lavoro, questo comporta, da parte soprattutto dei RLS, la capacità di analizzare tutti i rischi, sia quelli tradizionali, sia quelli specifici, sia la capacità di trovare soluzioni in grado di garantire la tutela “del benessere della comunità” in cui si vive.
Il principio di collaborazione del lavoratore assume un ruolo rilevante in relazione, specificatamente, al tema della disconessione, intesa come diritto/dovere del dipendente della possibilità di staccarsi dalla rete ed accantonare il lavoro, in particolare quando questo si compie nello stesso luogo dove si svolge anche la vita privata del lavoratore. C’è il rischio di confusione tra vita privata e vita professionale cioè il diritto di non dover essere reperibile a tutte le ore del giorno.
(seconda parte)