di Massimo Rossi
È il 1966, negli Stati Uniti il Presidente Lyndon B. Johnson (democratico) inizia l’escalation dell’impegno bellico americano in Vietnam con l’invio di decine di migliaia di soldati e l’impiego di bombardieri; parallelamente iniziano le marce e le manifestazioni di protesta contro la guerra in Vietnam, preludio di un nuovo modo di essere “contro”, dal movimento hippie, alla lotta di emancipazione degli afroamericani, ai movimenti per il riconoscimento della parità di genere, inclusi gli omosessuali.
Al governo americano va tutto bene, tollera con un po’ di mal di pancia le proteste nelle piazze; basta che non si parli di lotta di classe, quella no!
La guerra fredda ha ripreso vigore con il conflitto vietnamita e, tra alti e bassi terrà occupati servizi segreti di mezzo mondo ancora per un decennio.
L’URSS è guidata da Leonid Ilyich Brezhnev, uomo cresciuto nell’”apparato” stalinista sopravvissuto al suo fondatore; la cifra politica brezneviana si tradurrà nella composizione di un’élite di parenti, amici, e sostenitori fedeli al comando delle istituzioni statali, e da un’estrema disinvoltura nelle decisioni di intervento per sopprimere ogni forma di dissenso in patria e nei paesi del blocco sovietico.
Ma il 1966 è anche l’anno in cui Robert Allen Zimmerman, nome cambiato legalmente nel ’62 in Bob Dylan, ha un incidente motociclistico rimasto attorniato da un alone di mistero. Bob è un cantautore già famoso, ha pubblicato diversi dischi di grande successo, insieme a Joan Baez rappresenta la cultura giovanile “contro”; dall’anno prima ha effettuato la cosiddetta svolta elettrica: anziché presentarsi da solo sui palchi con chitarra acustica ed armonica, imbraccia una chitarra elettrica (abitualmente una Fender Telecaster) e viene accompagnato da una band di ottimi musicisti provenienti dalla Paul Butterfield Blues Band. Il cambiamento viene accolto non bene dai fans del menestrello Dylan, e nel corso del tour in Australia ed Europa Bob è costretto a dividere i concerti in due parti, una da solo e l’altra con il gruppo; ma la cosa non gli va giù affatto.
Di ritorno a New York, stanco per la tournée ed insoddisfatto per l’accoglienza non entusiasta di pubblico e critica, riflette sulla strada da intraprendere. A quel punto avviene l’incidente.
Dylan coglie l’occasione per isolarsi per circa un anno e mezzo durante il quale riflette, legge, scrive, compone.
A fine ’67 esce il nuovo disco John Wesley Harding registrato con una band ridotta all’osso: le canzoni sono completamente diverse dalle precedenti, molto contemplative, calme, ispirate alla tradizione cristiano-ebraica; ed una di queste passerà alla storia…
All Along the Watchtower, è questo il titolo, si ispira al Libro di Isaia 21, 1-12 e descrive in modo allegorico ed esoterico una situazione di immobilismo in cui i potenti, i prìncipi, stanno sulla torre di guardia per controllare l’avvicinarsi di cavalieri per difendere sé stessi ed i loro privilegi. Ma il tutto viene visto con un occhio statico, non c’è azione, né movimento, ricorda l’emblematico clima de Il Deserto dei Tartari di Buzzati; non succede nulla, tutto si perpetua all’infinito.
Il testo è sorretto da una sequenza di tre accordi sempre uguale, martellante, la minore, sol, fa in cui normalmente il fa prelude il passaggio ad un mi risolutivo, ma qui la sequenza non risolve mai, ricomincia in eterno.
Di seguito il testo con la traduzione e i versetti del Libro di Isaia a cui si riferisce:
Isaia 21,6-12
6 Poiché così mi ha detto il Signore: «Va’, metti una sentinella, che annunzi ciò che vede».
7 Essa vide carri e coppie di cavalieri, alcuni che cavalcavano asini e altri che cavalcavano cammelli, e osservò con attenzione, con molta attenzione.
8 Poi gridò come un leone: «O Signore, di giorno io sto sempre sulla torre di vedetta, e tutte le notti sto in piedi al mio posto di guardia.
9 Ed ecco arrivare dei carri e delle coppie di cavalieri». Allora essa riprese a dire: «È caduta, è caduta Babilonia! Tutte le immagini scolpite dei suoi dèi giacciono a terra frantumate.
10 O popolo mio, che ho trebbiato e calpestato nella mia aia, ciò che ho udito dall’Eterno degli eserciti, il DIO d’Israele, io te l’ho annunziato!».
11 Profezia contro Dumah.
Mi gridano da Seir: «Sentinella, a che punto è giunta la notte? Sentinella, a che punto è giunta la notte?».
12 La sentinella risponde: «Vien la mattina, poi anche la notte. Se volete interrogare, interrogate pure; ritornate, venite».
Ma il brano non esaurisce il proprio cammino con Dylan, nel 1968 il guitar hero
per eccellenza, Jimi Hendrix lo inserisce nel suo disco Electric Ladyland in una versione leggendaria che lo stesso Dylan considerò “la versione definitiva”.
Notazione tecnica: la versione hendrixiana appare in Do minore, ma considerando che Jimi usava accordare la chitarra un semitono “sotto”, lui si trovava a suonare nella posizione di Do diesis minore, non proprio il massimo della comodità per un chitarrista! Ma c’è di più: per introdurre il canto Hendrix fa una frase in cui “tira” la nota tonica Do fino a Re. Ecco, è una cosa che non si fa, non è previsto…ma lui può, e quell’intro è rimasto nelle orecchie di milioni di ascoltatori fino ad oggi.
Ma tornando al testo, ovviamente risente degli anni che inesorabilmente sono trascorsi; che senso può avere parlare di potenti prìncipi gelosi dei propri privilegi, oggi che un’attenta e condivisa politica fiscale ha garantito un’equa redistribuzione del reddito, oggi che non esistono più rendite di posizione, oggi che istruzione, sanità, dignità e rispetto sono beni comuni.
Oggi che una pandemia inaspettata e imprevedibile sta uccidendo tutte le nostre arroganti certezze, e si nutre della nostra fragilità.