Quanti fili per la pace
La pace è un bene supremo ed è un bene di tutti
(Dall’Osservatore Romano del 13 maggio 2023)
È da poco uscito per i tipi di Donzelli un ricco volume che raccoglie i discorsi, gli articoli e le interviste di Enrico Berlinguer dal 1972, anno in cui divenne segretario del Partito comunista italiano, al 1984, quello della sua scomparsa mentre era in corso la campagna elettorale per le europee. Si intitola La pace al primo posto. Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984), pp. 384, 30 euro. Molti i temi affrontati, in un continuo confronto «coi grandi problemi globali della sua epoca», ricorda il curatore Alexander Höbel, studioso di storia dell’Italia contemporanea e collaboratore della Fondazione Gramsci: dalla pace al nuovo modello di sviluppo e cooperazione Nord-Sud, dalla necessità di un ruolo forte dell’Europa nell’assetto delle relazioni internazionali al protagonismo del movimento operaio, dal confronto bipolare alle problematiche relative al disarmo. «La pace — scrive Berlinguer in uno dei suoi discorsi più intensi del 17 febbraio 1980 a Firenze — è un bene supremo ed è un bene di tutti». Una lezione di grande e ancora stringente attualità, purtroppo, proprio nel periodo storico che stiamo vivendo. Per gentile concessione dell’editore ne pubblichiamo di seguito alcuni stralci.
Cooperazione e disarmo
Cooperazione, innanzitutto, per la pace, per una giusta soluzione dei conflitti internazionali, per la sicurezza e il disarmo e quindi per la riduzione di spese militari. Cooperazione per affrontare problemi vitali e immani quali quelli della fame nel mondo; della difesa e trasformazione dell’ambiente naturale; della lotta contro l’inquinamento; della scoperta e dell’impiego di nuove risorse; della difesa contro le calamità; della prevenzione e della cura di antiche malattie epidemiche che ancora mietono vittime a milioni nelle aree più arretrate del mondo e di altre malattie che hanno assunto anch’esse, proprio in questa epoca, le dimensioni di veri flagelli sociali.
La pace al primo posto
La pace è un bene supremo ed è un bene di tutti. Per garantire questo bene è indispensabile l’azione delle singole persone come delle organizzazioni e istituzioni di ogni genere, nazionali e internazionali. È questa una battaglia nella quale bisogna sapere unire tutte le forze, al di là delle differenze di classe, di ideologie, di orientamenti politici. […] Se è vero che la guerra non è inevitabile, è anche vero che essa non è impossibile, e, proprio oggi, questo è un pericolo che si è fatto più vicino. […] Parlo di qualcosa di più tragico, parlo di una nuova guerra mondiale, la quale però, oggi, non avrebbe le caratteristiche, pur già terribili, di quelle che noi stessi abbiamo conosciuto e che tanti di voi ricordano, e tanti ne portano ancora il segno e il dolore. Parlo di una guerra che l’umanità non ha sinora mai conosciuto, ma che, ove mai dovesse conoscere, sarebbe sicuramente l’ultima, perché equivarrebbe alla sua fine.
Le disparità economiche
Vi sono davvero abissali differenze nelle condizioni di esistenza e di sopravvivenza dei popoli. […] Ma — ecco il punto — un nuovo equilibrio non si è trovato ancora. Anzi, si tenta in forme nuove di mantenere vecchie posizioni di dominio, per continuare a fruire delle materie prime di quei paesi e a condizionare lo sviluppo dei loro popoli. Bisogna andare invece decisamente verso un nuovo equilibrio, verso un sistema nuovo di rapporti economici e politici.
Lo sviluppo, il ruolo dell’Europa
La pace peraltro, se ha nello sviluppo un suo fattore, è anch’essa fattore di sviluppo. Nella pace i popoli possono usare la ricchezza per soddisfare le proprie necessità di vita e di crescita, per produrre altre ricchezze utili, per migliorare ed elevare la propria cultura, i propri modi di vivere e di consumare, e non per produrre strumenti di distruzione e formare soldati. Il miliardo di dollari al giorno che gli uomini spendono per gli armamenti se usato a fini pacifici potrebbe contribuire a mutare il destino dell’umanità intera.
La necessità di una Europa unita e più autonoma al fine della costruzione di una pace meno fragile è del tutto evidente. Perciò occorre invertire nettamente la tendenza in atto alla disintegrazione e alla dipendenza. […] Abbiamo la necessità di una cultura che pensi l’Europa, la sua identità, le sue radici, il suo destino, e che pensi la pace e lo sviluppo, e l’Europa come artefice di questi obiettivi. Dunque, di una cultura che, con libertà e con rigore, pensi questi problemi: cioè che vi indaghi, ne mostri le soluzioni migliori.