Nella bella intervista rilasciata questa settimana alla Stampa, l’ormai ex presidente dell’INPS Pasquale Tridico espone il suo sostegno alla proposta di una legge sul salario minimo che non dimentica di legare lucidamente al rilancio di una vera regolamentazione in materia di rappresentanza sindacale nei contratti di lavoro.
Fa capolino invero, in un’altra pagina del medesimo quotidiano il segretario generale della CISL – Sbarra (di nome e di fatto) che si oppone a tale tesi, alludendo ad un fantomatico primato dei cosiddetti contratti confederali prevalenti.
Eppure è sotto gli occhi di tutti la scomparsa, oseremo dire l’estinzione “prevalente” di qualsivoglia politica confederale unitaria, a parte qualche tavolata governativa di indubbia inefficacia.
Ieri poi è stata la volta del sole 24ore, che in prima pagina dedicava un pezzo dal titolo vagamente evocativo “Lavoro, così la retribuzione contrattuale batte i 9 euro lordi del salario minimo” salvo poi concludere in aperta (quanto inspiegabile) contraddizione che il tema vero risiede “nella diffusione del lavoro irregolare che lascia i lavoratori privi di tutele (compresa quella dei salari minimi) e dall’elevato numero dei contratti c.d. pirata” che proprio Tridico ricordava essere ben 1.011!
Ma la vera sorpresa l’abbiamo trovata nelle pagine dell’inserto PLUS 24 che pubblicava gli esiti di un indagine SAY ON PAY (dimmi quanto guadagni) del Ftse Mib ovvero le blue chip (le aziende più rilevanti) di Piazza affari.
Nel pezzo, veramente interessante, vengono indicati i promossi ed i bocciati dai gestori più importanti a livello globale.
Non dimentichiamo al riguardo l’iniziativa intrapresa di recente, quasi in solitaria, dal Fondo Cometa (del settore metalmeccanico) in materia di compensi delle aziende presenti nel proprio portafoglio previdenziale.
Non sappiamo ancora misurare quanto questo “attivismo” arrivi ai lavoratori ma siamo certi che la sola presenza nelle assemblee societarie ancorché corroborata da un’espressione di voto non basti a risolvere il tema dello squilibrio patologico nel sistema di remunerazione del top management.
Occorrerebbe a nostro avviso un sistema di alert che, in coerenza con principi italiani di Stewardship, ovvero quelli utili per l’esercizio dei diritti amministrativi e di voto nelle società quotate, sia in grado di disboscare questa foresta pietrificata in cui si nasconde il sistema di remunerazione delle grandi aziende quotate.
Come può il salario indiretto o previdenziale che dir si voglia essere messo al servizio di un sistema capitalistico lontano anni luce da quello evocato o meglio immaginato da uomini come Adriano Olivetti? «Nessun dirigente deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minimo» gridava inascoltato.
Oggi invece un consigliere delegato di una grande impresa italiana quotata in Borsa percepisce un compenso pari a circa 38 volte quello medio dei dipendenti.
A quando una legge sul salario massimo?