L’alluvione avvenuta nelle Marche in queste ore viene raccontata purtroppo ancora come cronaca. Come abbiamo già scritto, guerra, crisi climatica ed energetica sono sfuggite dall’agenda politica elettorale e per questo non è dato sapere quale progetto politico saprà affrontare queste emergenze. Eppure, per restare in tema di previsioni meteorologiche, appena in primavera è stata consegnata definitivamente l’infrastruttura che ospita il nuovo Data center del Centro meteo europeo, una delle macchine di calcolo ad alta prestazione più importanti e potenti al mondo, all’interno del Tecnopolo di Bologna nell’ex Manifattura Tabacchi della città. Dunque gli strumenti ci sono, manca solo l’intelligenza politica. Il prezioso lavoro di Ugo ci consente di non smarrire quel filo del discorso che il nostro blog sta tessendo fin dalla sua nascita.
Buona lettura.
di Ugo Balzametti
Il riscaldamento globale
La siccità è una parola dal suono antico che ci riporta alle immagini delle vecchie società contadine. Oggi è ritornata prepotentemente di attualità poiché mette in discussioni beni essenziali, legati alla sopravvivenza della specie umana come la disponibilità e l’uso di acqua e cibo.
A nessuno, individualmente o come gruppo, è concesso il diritto di acquisirla a titolo di proprietà privata. L’accesso all’acqua è una prerogativa costituzionale inalienabile, individuale e collettiva. Compito della società è garantire il diritto di accesso secondo il principio della corresponsabilità e sussidiarietà. L’acqua è un patrimonio dell’umanità.
Visto dallo spazio la nostra Terra assomiglia a una gigantesca biglia blu. L’acqua infatti ricopre più del 70% della superficie terrestre di cui il 97% è salata, il rimanente 3% è acqua dolce proveniente da ghiacciai e nevi perenni (68,9%), falde sotterranee (29,9%) e acque superficiali (1,2%); solo l’1% è acqua potabile.
L’utilizzo dell’acqua non si limita solo al consumo umano, ma è fondamentale anche per altri settori come l’agricoltura, raffreddamento industriale, riscaldamento, turismo e tanti altri.
Inoltre ancora oggi dobbiamo registrare come l’ accesso all’acqua sia segnato da forti diseguaglianze: l’80% delle risorse idriche sono consumate dal 20% della popolazione , quello che rimane viene centellinato nel resto del mondo.
Sebbene il continente africano contribuisca solo per il 4% delle emissioni globali di gas serra, è tra le regioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici e gli stravolgimenti legati all’acqua rappresentano alcuni dei rischi più gravi.
Ciò significa un accesso ridotto all’acqua potabile in un’area dove una persona su tre si deve misurare ogni giorno con la scarsità di acqua, ciò significa più fame, malnutrizione e spesso carestia. : il 28% della popolazione mondiale non ha accesso all’acqua potabile, il 53% non dispone di impianti igienici, 4 miliardi di persone vivono una grave carenza d’acqua almeno un mese l’anno.
L’acqua è indispensabile oltre che per l’uomo e la salute, anche per la salute delle piante e animali. Si sente parlare spesso di siccità diffusa e di scarsa qualità dell’acqua proprio per l’impatto delle attività umane su di essa. Urbanizzazione, crescita demografica, inquinamento stanno mettendo a rischio quantità e qualità dell’acqua a nostra disposizione.
In Italia vengono consumati circa 26 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, di cui poco più della metà, 55%, è riferito all’agricoltura, il 27% a quelli industriali e circa 18% per scopi civili. Proprio quest’ultimi richiedono acque di qualità elevata. Nel 2019 sono stati prelevati più di 9,2 miliardi di metri cubi per uso potabile.
Con il perdurare dell’emergenza climatica, la siccità non si può considerare più una crisi saltuaria, ma un problema strutturale che condiziona la vita di miliardi di persone. sappiamo da decenni che il rubinetto perde il 40% dell’acqua, gli sprechi sono noti. Tutto questo è normale?
Mediamente nel nostro Paese le precipitazioni ammontano a circa 300 miliardi di metri cubi ogni anno, ovvero tra le più elevate in Europa, eppure disponiamo effettivamente solo di 58 miliardi di metri cubi d’acqua, di cui i ¾ provengono da sorgenti superficiali, fiumi, laghi, mentre il 28% da risorse sotterranee. Questa disponibilità è in continuo deterioramento a causa della crisi climatica.
Il Po e il “cuneo salino”
In Italia il 2022 è stato definito l’anno più caldo di sempre, con una temperatura addirittura superiore di 0,76 gradi rispetto alla media, e si sono registrate nel periodo dicembre-aprile l’80% in meno di piogge e il 60% in meno di neve. Però l’acqua in Italia c’è , c’era, c’è sempre stata. Certo dal 1950 è diminuita del 14%, ma in questi decenni è stata stressata, sprecata, gestita male
Del resto le immagini del Po e della Pianura Padana, trasmesse dai mass media in queste settimane di caldo asfissiante, hanno fotografato una zona tra le più ricche al mondo che quest’anno perderà più del 50% della propria produzione . Nel mentre un fiume tra i più grandi d’ Europa è ridotto a poco più di un torrente, mentre il mare è avanzato fino alla foce desertificando i terreni vicini agli argini, penetrando nelle falde acquifere e intaccando le riserve di acqua potabile.
E’ l’effetto “risalita del cuneo salino”. Il problema non è nuovo, già si era presentato negli anni cinquanta, ma allora il mare risaliva solo di qualche chilometro, quest’anno ne ha percorsi 34 km.
Si tratta di un fenomeno naturale che si verifica molto raramente, soprattutto presso le foci a delta dei fiumi, come quella del Po e ha fatto si che le acque dolci sotterranee si ritirassero e che quelle salate dal mare, invece, avanzassero sempre più.
Particolarmente difficile si presenta la situazione del bacino Mediterraneo, una zona che ha subito un forte riscaldamento ad un ritmo superiore alla media globale
Questa area è diventata una regione cosiddetta “hotspot” climatico, ovvero una regione che risponde in maniera amplificata al riscaldamento globale. Ci sono alcune zone – il Mediterraneo, l’Artico e le zone polari, le montagne- che sono delle sentinelle che anticipano e amplificano i segni del cambiamento.
Riscaldamento globale, disarticolazione degli ecosistemi, superamento di numerosi “punti di non ritorno” (tipping points) del sistema climatico planetario non sono che gli effetti di uno squilibrio che va ricercato molto più a monte, nella natura antropica di questi fenomeni.
L’acqua è ormai merce rara, e molto spesso a causa del suo sconsiderato utilizzo domestico, industriale e agricolo, i fiumi, i pozzi, le falde acquifere, i bacini idrici sono sottoposti a stress notevoli e si stanno rapidamente esaurendo. Lo possiamo verificare soprattutto in quelle regioni ad alta densità di popolazione, che producono un grande sfruttamento di risorse, soprattutto di acqua.
Dovremo smetterla di far finta di sorprenderci quando accadono calamità come alluvioni o /e lunghi periodi di caldo estremo. L’esperienza quotidiana ci dice che questi rischi sono ormai la normalità.
Soprattutto le autorità locali, comuni e regioni, devono avere la consapevolezza che quando s’interviene sempre seguendo una logica emergenziale si hanno solo interventi “tappa buchi”. Problemi locali devono essere affrontati in una ottica globale, quindi richiedono interventi sistemici e strutturali
Sta a noi gestire adeguatamente l’utilizzo dell’acqua, altrimenti condanneremo intere popolazioni ad essere escluse dallo sviluppo e da un godimento equo dei diritti umani fondamentali . Ma la contraddizione è palese: in generale l’acqua c’è nel mondo, il vero problema è che spesso non c’è nel luogo quando serve.
Il ciclo dell’acqua
Perché il cambiamento climatico preoccupa tanto? Quali rischi corriamo?
La vita sulla Terra esiste grazie alla combinazione di tre fattori: la presenza del ciclo dell’acqua, la giusta distanza dal Sole, la composizione chimica dell’atmosfera.
Il ciclo dell’acqua è un delicato sistema che gioca un ruolo fondamentale per la Terra e per la nostra vita quotidiana. Consiste nel trasporto di acqua dolce tra la superficie terrestre, i bacini d’acqua e le nuvole che si trovano nell’atmosfera, grazie ai processi di precipitazione ed evaporazione dell’acqua. E’ un sistema fondamentale che rende l’ambiente terrestre fertile ed abitabile.
Uno degli effetti principali del riscaldamento globale è quello di modificare il ciclo idrologico, il cui motore è l’energia solare che riscalda continenti ed oceani determinando l’evaporazione dell’acqua (circa 80% dell’evaporazione viene dalla superficie oceanica).
Gli oceani non rimangono fermi. Le correnti, le onde mantengono le acque degli oceani in cosante movimento, evaporano e salgono verso l’alto dove formano delle nuvole: dopo un percorso più o meno lungo, dalle nuvole l’acqua torna sulla terra sotto forma di precipitazioni, ovvero pioggia, neve, grandine o semplicemente nebbia.
L’atmosfera, in particolare, assicura al nostro Pianeta un clima adatto alla vita grazie al cosiddetto effetto serra naturale.
Quando i raggi solari arrivano sulla superficie terrestre vengono solo in parte assorbiti e in parte vengono riflessi verso l’esterno; se non ci fosse l’atmosfera si disperderebbero, invece gran parte dei raggi sono trattenuti e rindirizzati verso la Terra tramite alcuni gas presenti nell’atmosfera stessa ( gas ad effetto serra, fra cui l’anidride carbonica, il metano, petrolio, carbone).
L’effetto serra è un processo naturale che determina la temperatura sul nostro Pianeta e modifica il ciclo idrologico. Con un clima più caldo l’evaporazione degli oceani aumenta e il riscaldamento globale porta ad un aumento delle piogge e all’intensificazione del ciclo idrico.
Il risultato è un’ulteriore quantità di calore che si somma a quello proveniente dai
raggi solari assorbiti direttamente. Un’aggiunta significativa: senza l’effetto serra
naturale, la temperatura media sulla Terra sarebbe di -18 gradi centigradi anzichè di + 15°C.
Quando l’equilibrio naturale è alterato, soprattutto a causa dei gas prodotti dall’uomo, abbiamo l’ effetto serra antropico .
Con la rivoluzione industriale l’uomo ha infatti immesso milioni di tonnellate di CO2 ed altri gas serra nell’atmosfera, portando la quantità di anidride carbonica al doppio rispetto ai minimi degli ultimi 700 mila anni. (410-415 parti per milione rispetto a 200-180)
Le acque sotterranee e superficiali
Una grande riserva rinnovabile di acqua si trova sotto i nostri piedi. Viene chiamata sotterranea o falda, e nonostante sia invisibile e molte volte dimenticata, è fondamentale per la vita e gli equilibri sulla terra.
Le falde sono ovunque e rappresentano circa il 30% dell’acqua dolce presente sulla terra; il restante 69% si trova intrappolato nelle calotte glaciali e nella neve di montagna,l’1% in acque superficiali.
In media un terzo dell’acqua dolce consumata per tutti gli usi a livello globale è costituita da acqua falda che contribuisce per circa il 50% dell’acqua potabile utilizzata globalmente. In alcune parti del mondo si raggiungono valori più alti: in Danimarca il 99% di acqua potabile deriva da falde acquifere.
E’ anche una delle fonti principali per l’industria agroalimentare: si stima che il 43% dell’acqua utilizzata per l’irrigazione, a livello globale, venga prelevata dalle falde
Quando la pioggia cade sul suolo può scegliere essenzialmente due vie. Nella prima, l’acqua scorre in superficie, originando prima rivoli, poi torrenti ed infine fiumi. La morfologia del terreno è segnata proprio dall’acqua, facilitando la formazione di laghi.
La progressiva impermeabilizzazione dei suoli (a causa della speculazione edilizia) e le modifiche climatiche portano ad episodi di precipitazione violente e concentrate nel tempo che hanno come risultato l’aumento vertiginoso della velocità con cui le acque scorrono da monte al mare.
La seconda scelta dell’acqua è quella di infiltrarsi nel sottosuolo, fino ad arrivare, dopo percorsi che possono esser lunghi anche decine di anni, ad alimentare le falde sotterranee, in alcuni casi veri e propri laghi o fiumi che scorrono nel sottosuolo. Tra le acque superficiali e le acque sotterranee ci sono scambi continui, con sorgenti che generano, fiumi, laghi che alimentano le falde.
Le acque superficiali e le acque sotterranee hanno scambi continui, con sorgenti che generano fiumi, laghi che alimentano falde sotterranee. Tutta l’acqua che scorre in superficie e in parte di quella che scorre nel sottosuolo tenderà ad arrivare verso i mari e gli oceani, da cui evaporerà a formare nubi e così all’infinito.
Al momento in Italia solo l’11% dell’acqua piovana viene trattenuta. Troppo poco.
Tra le soluzioni per rispondere alla siccità, è stato proposto di costruire bacini di accumulo d’acqua sulle montagne, nelle aree fluviali o nelle aree umide. Insomma si propone di tornare ad invasare l’acqua che permetteva di contenere le piene e stoccare l’acqua. Inoltre circa un terzo delle falde acquifere è in pessime condizioni, solo il 58% delle falde sono in buono stato, contro il 17 della media europea.
Le acque sotterranee sono una componente essenziale del sistema di acqua dolce e il loro ruolo va assumendo sempre più importanza poiché le risorse idriche di superficie, che al momento sono quelle più accessibile, sono sempre più sfruttate, in particolare in quelle aree dove le popolazioni sono in aumento.
Pur essendo nascoste le acque sotterranee forniscono la metà del volume di acqua prelevata per uso domestico dai cittadini del mondo e circa il 25% di tutta l’acqua utilizzata per l’irrigazione agricola.
La velocità di percolazione ( fenomeno per il quale l’acqua piovana filtrando lentamente nelle rocce calcaree, ne opera la dissoluzione chimica) e la quantità di acqua che si può accumulare nel sottosuolo dipendono dal grado di permeabilità delle rocce che a sua volta dipendono dalla porosità delle rocce.
Le acque sotterranee possono avere una età che varia da pochi mesi a milioni di anni. Per questo tutto il mondo si chiede quanta acqua c’è sotto terra e per quanto tempo potremmo sfruttarla.
La rivista Nature pubblica uno studio che prende in considerazione le “acque sotterranee moderne” e dimostra che almeno il 6% delle acque sotterranee fino ad una profondità di 2 KM può rinnovarsi nello spazio della durata di una vita umana.
Perché è importante distinguere le acque sotterranee moderne da quelle antiche? Le acque antiche si trovano più in profondità e spesso sono utilizzate come risorsa idrica per l’agricoltura e l’industria.
Il volume di acque sotterranee moderne è una risorsa più rinnovabile, è più veloce a ricaricarsi, ad esaurirsi. Inoltre è anche più vulnerabile ai cambiamenti climatici e alla contaminazione da parte delle attività antropiche. A volte contengono sostanze inquinanti e spesso sono più salate dell’acqua dell’oceano.
Si deve rilevare, inoltre, che ogni giorno, insieme al cibo che mangiamo e l’acqua che consumiamo, ingeriamo dai 2000 ai 5000 litri di acqua nascosta. Si tratta di acqua utilizzata nei processi produttivi e di cui ignoriamo l’esistenza.
Per essere quantificata si usa la cosiddetta impronta idrica , ossia la quantità di acqua utile per produrre beni o alimenti che vengono utilizzati dalle comunità. (L’Italia è il maggiore consumatore di acqua pro-capite in Europa)
Qualsiasi alimento che assumiamo ha una sua impronta idrica e confrontando vari prodotti agricoli e derivati animali è emerso che i prodotti di origine animale hanno un’impronta idrica maggiore rispetto a qualsiasi alimento vegetale.
Per produrre una tonnellata di carne bovina servono 15.000 litri di acqua, per quella di pollo più di 4000, mentre la stessa quantità di cereali circa 1600 e per la verdura 320 litri per tonnellata. Da queste migliaia litri d’acqua consumati pro-capite, circa 4,4% è utilizzato nei cicli industriali, 3,6% per la cucina, la pulizia e per bere, mentre il restante 92% è utilizzato dall’agricoltura e dall’allevamento.
Come intervenire?
Come abbiamo visto in precedenza la crisi climatica è stata accompagnata da una tendenza alla tropicalizzazione del clima che si manifesta con una più elevata frequenza di eventi violenti, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi.
La pandemia, l’emergenza climatica, la guerra impongono di trovare adeguate soluzioni onde evitare il collasso economico. Si deve trovare il modo di produrre energia pulita dando priorità alla risorse che abbiamo, e limitare al massimo le emissioni di CO2, responsabili del riscaldamento globale. Dobbiamo rispettare gli accordi internazionali (Kyoto – Parigi)
Di conseguenza si può intervenire seguendo due direttrici. La prima è quella di ottimizzare al meglio le risorse idriche a disposizione, mettendo in discussione come e per quali scopi utilizziamo questo bene sempre più scarso.
Il secondo terreno d’intervento riguarda il recupero e il riciclaggio delle acque con le loro reti d’infrastrutture, potenziando gli invasi sui territori, creando anche bacini per l’acqua piovana.
Nell’individuare gli strumenti più efficaci per circoscrivere gli effetti del riscaldamento climatico si possono seguire percorsi diversi.
I Consorzi di Bonifica propongono, per far fronte alla crisi climatica, due linee di intervento.
La prima è “accumulare” acqua tramite la creazione di serbatoi e vasche di laminazione delle piene ( è un’opera idraulica volta alla realizzazione di un ampio bacino scavato in profondità per contenere le acque esondate del fiume), insieme alla costruzione di bacini di raccolta.
La seconda è “distribuire meglio”, ammodernando gli impianti e rendendo le reti e gli impianti di irrigazione più efficienti, tramite una manutenzione che non sia sporadica e l’adozione di dispositivi per il controllo consumi.
L’altra linea di pensiero è quella proposta dal Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) che parte dall’assunto che l’attuale crisi climatica deve essere affrontata in modo strutturale intervenendo sulle cause e non correndo dietro i sintomi.
La radice del problema sta nell’aver perseguito per decenni uno sviluppo economico senza tener conto dei vincoli ecosistemici. Questo modo di operare nell’U.E. ha avuto conseguenze tragiche: oltre l’80% degli habitat è in cattivo stato di conservazione, nel tempo le aree umide si sono contratte del 50%.
Questi dati non possono essere letti con sufficienza ed è imbarazzante che la risposta del governo italiano alla crisi idrica sia fondata , nei fatti, solo sul saccheggiare ulteriormente le risorse naturali e sull’ulteriore aggressione alla biodiversità.
Nonostante gli impegni internazionali per contenere progressivamente le emissioni di gas serra entro il 2050, si continuerà ad estrarre combustibili fossili e si avrà solo una piccola diminuzione della produzione di carbone.
Purtroppo la battaglia della Francia sul nucleare “di nuova generazione” ha avuto successo e quindi entrerà come tecnologia sostenibile nella tassonomia europea. L’Italia ha condiviso questa scelta.
Questo significa che è necessario rafforzare e non derogare da quelle misure che proteggano l’ambiente, tutelino anche la salute e la fertilità di suoli e delle aree agricole, ad esempio aumentando la loro capacità di trattenere umidità. Continuare a usare i terreni, risorse naturali e acqua per alimentare un sistema di produzione zootecnica invasiva è un errore .
L’idea che ulteriori bacini possano risolvere il problema di come stoccare le acque nasce dall’illusione che si possa continuare a far funzionare l’agricoltura e il settore energetico con le stesse quantità d’acqua che si usano nel 2022.
Lo stile di vita occidentale si è basato per decenni sulla convinzione che molte risorse siano illimitate, acqua inclusa. L’instabilità climatica , l’inquinamento delle falde e l’aumento del fabbisogno idrico ne rendono la reperibilità sempre più precaria.
Poi c’è la famosa questione delle perdite idriche, circa il 42%, clamorosamente ignorata dal PNRR. A tale proposito non è possibile non evidenziare come il Piano preveda di investire 900 milioni di euro, quando l’OCSE nel 2013 stimava che si sarebbero dovuti spendere 2,2 miliardi di euro ogni anno per i prossimi 30 anni, per metterci in pari con il livello d’investimenti per il mantenimento delle reti del resto d’Europa .
Eppure l’unica risposta discussa in queste settimane dal governo è stata la costruzione di nuovi invasi artificiali. In questo contesto è opportuno ribadire la contrarietà a nuove dighe lungo i corsi d’acqua, perché hanno un fortissimo impatto sui sistemi idrografici, mentre hanno aspetti positivi la costruzione di piccoli invasi collinari , anche se perdono molta acqua per l’evaporizzazione.
Ecco perché si pensa che il luogo migliore per stoccare l’acqua sia la falda idrica.
Le acque reflue
Un altro sistema per stoccare l’acqua è quello del riuso delle acque reflue depurate, utile ad essere una soluzione temporanea per fronteggiare periodi particolarmente siccitosi.
Questa proposta ha fatto storcere il naso a molti. Le acque reflue, infatti, altro non sono che le acque di scarico, quelle che vengono usate in casa, ma anche nelle industrie e nell’agricoltura e che vengono eliminate con tutte le sostanze organiche e inorganiche che si portano dietro.
Si tratta di un potenziale enorme – 9 miliardi di metri cubi l’anno- che in Italia viene sfruttato solo per il 5% di metri cubi.
L’Europa ha emanato un regolamento, 2020/741, che prevede il riuso delle acque da parte degli Stati Membri a partire dal giugno 2023 e quindi anche l’Italia si dovrà adeguare velocemente alla normativa di riferimento.
Sono già funzionanti 79 impianti per la produzione di acque di riuso con una potenzialità complessiva pari a 1,3 milioni di metri cubi al giorno. Di contro l’uso diretto per l’irrigazione attraverso reti dedicate è ancora piuttosto scarso. Di questi 79 solo 16 sono dotati di una rete specifica di trasporto e distribuzione dell’acqua affinata.
Esistono varie procedure e tecnologie per depurare l’acqua e molto dipende dal risultato che si vuole ottenere in relazione alla qualità del prodotto finale. La maggior parte degli impianti svolge una depurazione minima, se l’acqua deve essere semplicemente rimessa in natura o riutilizzarla per qualche attività umana: nell’agricoltura, oppure nella irrigazione di aree verdi.
Quando le acque reflue vengono riciclate per il consumo umano, il processo di depurazione è più lungo e soprattutto più controllato.
L’attuale modello economico non regge più
Abbiamo cercato di dare alcuni elementi conoscitivi dei fenomeni che caratterizzano il riscaldamento globale e la crisi idrica, convinti che trovare soluzioni strutturali impone la conoscenza profonda sia degli effetti, ma soprattutto delle cause di un processo ormai inarrestabile che coinvolge e colpisce miliardi di persone.
Nel quadro delineato le contraddizioni che ne scaturiscono rendono non più differibile la messa in discussione radicale dell’attuale modello economico e sociale, la crisi climatica obbliga ad andare alla radice del problema.
In particolare si deve sottolineare che si è totalmente persa a livello politico l’attenzione sull’importanza del “governo delle acque”. La gestione dell’economia idrica è ed stata sottovalutata o, peggio, è stata vissuta unicamente come fonte di profitto coerente col modello di economia di mercato.
In questo ambito il ruolo dell’informazione diventa fondamentale. Il riscaldamento globale è ormai un fenomeno di vita quotidiana e lo si deve raccontare, mettendolo in relazione al cibo, al tema della casa, delle migrazioni, a come cambiano i lavori.
Vanno spiegati anche i meccanismi dei fenomeni, ad esempio l’intensificazione del ciclo dell’acqua che può portare contemporaneamente siccità e inondazioni. Così come deve essere analizzato e apprezzato il lato umano del cambiamento climatico.
Ciò significa favorire l’opportunità di coinvolgere le comunità non solo elencando dei numeri o dati. La sfida per chi affronta questi temi complessi è quella di riuscire a parlare di crisi idrica senza parlare di scienza.
Un secondo modo per parlare di crisi climatica senza parlare di scienza è tramite le storie e l’esperienza di vita. Il cambiamento climatico colpisce le persone e raccontare le loro storie , anche se non le conosciamo o abitano dall’altra parte del mondo, è fondamentale perché attraverso le loro testimonianze è più facile capire come stanno cambiando le loro vite.
Si tratta di ripartire da ciò che diceva il filosofo ecologista Andrè Gorz: “ E’ impossibile evitare una catastrofe climatica senza rompere con i metodi e la logica economica che sono condotti da 150 anni. Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo.”
La necessaria inversione di rotta deve partire da un presupposto: il come, cosa, dove e per chi produrre non può essere lasciato ai liberi spostamenti dei capitali finanziari e alla ricerca delle migliori condizioni per valorizzare gli investimenti, relegando il protagonismo dei cittadini alla sola scelta “a valle” del processo, decidendo cosa consumare.
Al contrario, occorre ridefinire la ricchezza sociale e decidere insieme di quali beni e servizi abbiamo bisogno, in quale ambiente vogliamo vivere, cosa e in quali quantità vogliamo produrre, come redistribuiamo il lavoro necessario, ricchezza prodotta, i tempi di vita e di relazione sociale, nonché la preservazione dei beni per le generazioni future.