Abbiamo pensato di sperimentare una nuova rubrica che mira a segnalare quanto di nascosto c’è nel mondo dell’informazione.
Giovedì 30 giugno, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha emesso una sentenza che limita la capacità dell’Agenzia per la protezione ambientale (Epa) di regolamentare le emissioni del settore energetico.
In un’estate di decisioni controverse da parte della più alta corte degli Stati Uniti, la causa West Virginia v. Environmental Protection Agency è stata una delle più bizzarre. Da un lato, riguardava una controversia che in realtà non esisteva. La causa ruotava attorno al Clean Power Plan, una serie di norme emanate dall’Epa nel 2015 che avrebbero spinto le centrali elettriche statunitense a ridurre in modo sostanziale le emissioni di carbonio entro il 2030. Peccato solo che il piano non è mai concretizzato. I dirigenti nel settore dei combustibili fossili e i il Partito repubblicano hanno infatti sollevato un polverone per via dei potenziali effetti economici del piano, ottenendo rapidamente la sospensione delle norme in tribunale. L’ anno dopo, quando l’allora presidente Barack Obama consegnò a Donald Trump le chiavi dell’Epa, il piano sparì per sempre.
La sentenza
È per questo che i sostenitori dell’ambiente sono rimasti stupiti e si sono allarmati quando la Corte Suprema ha deciso di pronunciarsi sul piano. I timori non erano infondati. Scrivendo a nome della maggioranza di sei giudici di orientamento conservatore della corte, il presidente John Roberts ha dichiarato che il programma ha delle implicazioni troppo ampie perché possa essere applicato senza un’autorizzazione esplicita da parte del Congresso.
La decisione non mina l’Epa come alcuni sostenitori dell’ambiente avevano temuto. La sentenza consentirà ancora all’agenzia di regolamentare le emissioni delle centrali elettriche, anche se in modo più limitato rispetto al passato. Inoltre, la corte non ha sfruttato l’occasione per annullare il precedente che consente alle agenzie governative, come l’Epa, di intervenire sulle emissioni di carbonio in modo più generale. La decisione rappresenta tuttavia un duro colpo, che evidenzia lo scetticismo della Corte Suprema nei confronti delle misure ambiziose adottate dalle agenzie federali del paese, fornendo una potenziale tabella di marcia per le future contestazioni delle politiche climatiche a livello legale.
“La Corte nomina se stessa – invece del Congresso o dell’agenzia competente – come organo preposto a decidere sulla politica climatica – ha scritto il giudice della Corte Suprema Elena Kagan in dissenso alla sentenza, come gli altri due giudici di orientamento progressista –. Non riesco a pensare a molte cose che siano più spaventose di questa”.
Conseguenze e contromisure
La decisione arriva in un momento in cui gli Stati Uniti, uno dei paesi con i livelli più alti di emissioni al mondo, sono già in ritardo rispetto agli impegni presi in materia di riduzione delle emissioni, in gran parte a causa della situazione di stallo nel Congresso. La nuova sentenza spinge a chiedersi quali saranno le prossime agenzie prese di mira dai tribunali. Tra i bersagli, potrebbero per esempio rientrare norme che regolamentano le emissioni dei gas di scarico o che tengono conto dei cambiamenti climatici nei processi di approvazione di oleodotti e gasdotti.
(da WIRED – GREGORY BARBER SCIENZA 01.07.2022)