di Antonio Damiani
Stanotte ho fatto un sogno.
Ho assistito ad un dibattito televisivo sulle questioni del lavoro.
Ho ascoltato, estasiato, un confronto su reddito universale di cittadinanza, pensioni di garanzia, salario minimo contrattuale, rafforzamento della contrattazione.
E tutti i partecipanti, non necessariamente d’accordo sui provvedimenti da adottare, partivano da dati di fatto inoppugnabili: la crescente divaricazione nella redistribuzione della ricchezza; l’impetuoso aumento della fetta di ricchezza sociale prodotta e immediatamente assorbita nelle reti del capitalismo immateriale; il senso di insicurezza provocato dal non avere più come prospettiva un reddito sufficiente; il tumultuoso smantellamento delle reti protezione sociale, a partire da quella previdenziale.
C’era persino chi asseriva la giustezza di provvedimenti fiscali basati sulla progressività, sulle tassazioni patrimoniali, sulla lotta all’evasione e al lavoro nero.
Uno ha addirittura affermato che il Job Act non ha fallito i suoi scopi, al contrario li ha centrati in pieno. A partire da livelli salariali che prevedono paghe orarie di 4/5 euro lordi e dall’istituzionalizzazione del ricatto insito nell’ essere impiegati a tempo determinato, con scadenze molto ravvicinate.
Un politologo ha detto che i temi del lavoro dovrebbero essere al centro della prossima campagna elettorale. Per uscire, cito testualmente, dalla narcosi neoliberista che tutti ammalia (remember Amelia?), a destra e a sinistra. O ha detto necrosi? Mah!
C’era persino un siparietto comico divertentissimo in cui un attore vestito da pirla ripeteva le barzellette sullo sgocciolamento della ricchezza, sulla flessibilizzazione del lavoro per meglio tutelarlo, sulle capacità del mercato di autoregolarsi. Irresistibile!
Poi mi sono svegliato.
Probabilmente il caldo: 28 gradi con tasso di umidità dell’82%.
Per scrupolo ho acceso la tele: parlavano delle liste di proscrizione.
Ho spento.
Nel frattempo sono arrivate le zanzare.
Le ho rivalutate.