di Giuseppe Amari.
L’ennesima replica della storia (e del buon senso) con accentuate ricorrenti crisi e recessioni economiche, seguite ai “trenta gloriosi”, e la stessa recente crisi sanitaria al paradigma della “mano invisibile” e alla pretesa dell’autonomia dell’economia dalla società e dalla politica, dovrebbe finalmente ricondurre al principio della realtà.
Se coloro che, per ritardi culturali e o corposi interessi di classe o di nazione, insistono nell’errore è dovere di altri pretendere che finalmente la politica riprenda a cavalcare l’economia e non viceversa, certamente con l’attenzione a che la prima non venga disarcionata dalla seconda.
Oggi si riparla di programmazione e di un nuovo ruolo strategico degli investimenti pubblici, mentre si lamenta la mancanza e o inadeguatezza di strumenti adeguati e l’insufficienza dell’apparato della Pubblica Amministrazione centrale e locale.
Federico Caffè è stato forse in Italia l’economista tra i più coerenti nel raccogliere l’eredità morale ed intellettuale di Keynes e dello stesso Roosevdelt; due straordinarie personalità che, nei rispettivi campi di pensiero e di azione, seppero “fornire una visione e alimentare una speranza”, come scrisse di lui il primo biografo dell’economista inglese.
A metà degli anni settanta, di fronte al primo insorgere dell’egemonia neoliberista, Caffè ricordava agli immmemori:
«Così oggi ci si trastulla nominalisticamente alla ricerca di un “nuovo modello di sviluppo”. E si continua ad ignorare che esso, nelle sue ispirazioni ideali, è racchiuso nella prima parte della Costituzione, nelle condizioni tecniche, è illustrato nell’insieme degli studi della Commissione economica della Costituente. […] In breve il “modello di sviluppo” che emerge dagli studi della Commissione economica non coincide con una liberalizzazione senza programmazione, come si è poi di fatto verificato. Prospetta bensì un’economia protesa verso il ripudio del restrizionismo autarchico e la riconquista della libertà degli scambi; ma, proprio in vista del ripristino di margini adeguati di concorrenzialità, fa affidamento su un valido apporto di infrastrutture, su idonee misure antimonopolistiche, sull’imbrigliamento del credito in funzione della programmazione. Non è di certo un’economia che edifichi lo sviluppo degli scambi internazionali sui bassi salari quella che viene delineata negli studi della Commissione economica, quando siano considerati nella loro coerente unità, e non attraverso enucleazioni di comodo». (F. Caffè, “Storia e impegno civile nell’opera di Giovanni Demaria”, In Tullio Biagiotti, Giampiero Franco (eds), Pioneering Economics: International Essays in Honour of Giovanni Demaria, Cedam, Pavia 1978, pp. 184-189).
Come è noto non fu questo il modello seguito nella Ricostruzione e Caffè più volte ne espresse rammarico. Più ragioni concorsero, di carattere politico e anche culturale.
E va peraltro ricordato che allora molto vasto era il sistema della Partecipazioni statali e larga la presenza diretta o indiretta dello Stato in buona parte del sistema creditizio. E quel potenziale “imbrigliamento del credito in funzione della programmazione”, trovò concretamente nell’articolo 47 della Costituzione, ovviamente del tutto desueto.
Con maggior rammarico e non meno forza ripeterebbe quei concetti oggi. Aggiungendo, come già fece più volte, che l’inadeguatezza e inefficienza dell’apparato amministrativo è per buona parte conseguenza, non solo della inadeguata normativa e attrezzatura informatica, quanto della dequalificazione e della svalorizzazione del lavoro pubblico. Riportarlo ad onore insieme alla sua piena responsabilizzazione al servizio del pubblico interesse è il compito prioritario se si vuole imboccare una via veramente nuova sul piano civile e sociale oltre che economico
La dequalificazione e svalorizzazione del lavoro pubblico purtroppo è il tragico risultato di un liberismo selvaggio ,bulimico,dispotico!Occorrerà lavorare duramente per ripristinare i valori fondativi della nostra Costituzione .