La Banca d’Italia spinge per una maggior attenzione al cambiamento climatico da parte degli intermediari finanziari
Aprile 2022/Pietro Negri
L’8 aprile u.s. la Banca d’Italia – in linea con analoghe iniziative già assunte dalla Banca Centrale Europea – ha pubblicato le proprie “Aspettative di vigilanza sui rischi climatici e ambientali” per accelerare l’integrazione di tali fattori nelle strategie aziendali, nei sistemi di governo, controllo e gestione dei rischi e nella informativa al mercato di tutti i soggetti la cui attività è sottoposta ad autorizzazione e vigilanza ai sensi del Testo Unico Bancario e del Testo Unico della Finanza (banche, SIM, SGR, SICAV/SICAF autogestite, intermediari finanziari ex Articolo 106 TUB e relative società capogruppo, istituti di pagamento, IMEL). https://www.bancaditalia.it/focus/finanza-sostenibile/vigilanza-bancaria/Aspettative_di_vigilanza_BI_su_ESG.pdf
Le aspettative forniscono indicazioni non vincolanti di carattere generale la cui concreta applicazione, da declinare secondo un principio di proporzionalità, è rimessa al singolo intermediario che dovrà accertare in via autonoma la rilevanza per il proprio modello di business, applicando soluzioni coerenti con il grado e l’intensità dei rischi assunti e in funzione di tipologia, dimensione e complessità delle attività svolte.
L’integrazione della sostenibilità ambientale nell’attività, ovviamente, deve riverberare anche sui requisiti di capitale a garanzia richiesti agli intermediari finanziari per assicurarne un’adeguata solvibilità o per proteggere, comunque, i portafogli finanziari gestiti per conto di soggetti terzi. L’evidente dinamicità dei rischi climatici, inoltre, obbliga gli intermediari a definire un programma di revisione e aggiornamento periodico delle decisioni assunte anche in funzione delle metodologie e degli strumenti adottati.
Il documento utilizza le definizioni di rischi climatici e ambientali adottate dalla BCE (https://www.bankingsupervision.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ssm.pr201127~5642b6e68d.en.html ) e dall’EBA (https://www.eba.europa.eu/eba-publishes-its-report-management-and-supervision-esg-risks-credit-institutions-and-investment ).
In particolare, per rischio fisico si intende l’impatto economico derivante dall’aumento di frequenza e intensità di eventi naturali “estremi” (come alluvioni, ondate di calore e siccità) ovvero “cronici” che si manifestano progressivamente (ad es. il graduale innalzamento delle temperature e del livello del mare, il deterioramento dei servizi ecosistemici e la perdita di biodiversità). Questa tipologia di rischio si differenzia per area geografica ma anche rispetto al settore economico considerato (es. agricoltura) e potrebbe influenzare il merito creditizio della controparte di un istituto finanziario.
Per rischio di transizione, invece, si fa riferimento all’impatto economico derivante, da un lato, dall’adozione di normative idonee ad accelerare la transizione “green” per ridurre le emissioni di carbonio e per favorire lo sviluppo di energie rinnovabili (facendo così emergere, però, le imprese “brown” legate all’energia fossile, automotive, ecc.. o poco orientate a modelli di economia circolare che vedrebbero peggiorare il loro merito creditizio); dall’altro, dallo sviluppo di tecnologia, dal cambiamento delle preferenze dei consumatori e della fiducia dei mercati.
L’Autorità di vigilanza, innanzitutto, “si aspetta” (!!!) che l’organo di amministrazione svolga un ruolo attivo di indirizzo e governo nell’integrare i rischi climatici nella cultura e nella strategia aziendale, declinando in modo coerente le principali policy aziendali e l’adattamento dei sistemi organizzativi e gestionali. A tale riguardo, al fine di assumere decisioni consapevoli, l’organo di amministrazione deve poter disporre di competenze adeguate a comprendere e valutare le implicazioni dei rischi climatici. Inoltre, devono essere assegnati esplicitamente ruoli e responsabilità ai membri e/o ai comitati endoconsiliari eventualmente da costituire ad hoc. I flussi informativi all’interno del board devono essere completi e costanti e deve essere definito un apposito reporting con specifico focus sull’outlook di medio lungo periodo (forward looking approach). Le informazioni e i dati devono basarsi su indicatori (key performance indicators, KPI e key risk indicator, KRI) misurabili e quantificabili.
I rischi climatici e ambientali, poi, devono essere considerati per la loro “materialità” intesa come la capacità di influenzare (secondo il principio c.d. outside in) i rendimenti aziendali attuali e futuri, propri e dei portafogli gestiti per conto terzi ma anche per comprendere l’impatto sul clima generato dalle stesse attività finanziarie (inside out), tenendo conto della complessità, del profilo di rischio e della tipologia di business model adottato, sia a livello di entità, sia di prodotti finanziari offerti.
In tal senso già a suo tempo l’IVASS, nell’art. 4, comma 2 del Regolamento n. 38/2018 aveva stabilito che “I presidi relativi al sistema di governo societario coprono ogni tipologia di rischio aziendale, ivi inclusi quelli di natura ambientale e sociale, generati o subiti, anche secondo una visione prospettica ed in considerazione del fabbisogno complessivo di solvibilità dell’impresa. La responsabilità è rimessa agli organi sociali, ciascuno secondo le rispettive competenze. L’articolazione delle attività aziendali nonché dei compiti e delle responsabilità degli organi sociali e delle funzioni deve essere chiaramente definita”.
Le aspettative della Banca d’Italia concernenti l’organizzazione aziendale sono particolarmente interessanti. Nel rispetto della libertà e proporzionalità la vigilanza individua tre tipologie di struttura idonea a integrare la sostenibilità nel modello adottato:
In ogni caso il sistema di remunerazione deve stimolare comportamenti coerenti con l’approccio ai rischi climatici e la parte variabile (almeno per il Top Management e le funzioni fondamentali) deve essere ancorata a indicatori di sostenibilità misurabili e quantificabili.
Le funzioni operative più importanti (Risk Management, Compliance e Audit) vengono specificamente richiamate dalle Linee guida della vigilanza. La prima è chiamata a identificare, incorporare, misurare, prevenire e attenuare i rischi monitorandoli con report periodici; alla Compliance è attribuito il compito di assicurare che i rischi di conformità alle norme derivanti dai rischi ambientali siano adeguatamente considerati nei processi aziendali e, infine, all’Audit è conferito l’onere di valutare l’adeguatezza dei presidi e delle iniziative di mitigazione dei rischi assunti.
Il documento considera, inoltre, altre tipologie di rischio rilevanti.
- I rischi di mercato, innanzitutto, derivanti da eventi climatici in grado di causare perdite nei confronti di controparti più esposte, determinando così una variazione delle aspettative del mercato e una conseguente riduzione di valore e/o un incremento della volatilità del pricing dei titoli emessi da questi stessi soggetti;
- I rischi operativi, in grado di compromettere la continuità operativa degli intermediari (e.g. danneggiamento dei locali commerciali o dei server);
- quelli reputazionali, derivanti da una crescente attenzione e sensibilità dei risparmiatori verso i temi ecologici e conseguenti a scelte di investimento non coerenti;
- i rischi di natura legale connessi a comportamenti non conformi alla tutela ambientale o a pratiche di greenwashing;
- rischi di liquidità legati ad eventi climatici che potrebbero indurre la clientela a ritirare i propri depositi per finanziare le spese di riparazione e ristrutturazione, determinando un repricing improvviso degli strumenti finanziari detenuti e conseguente rischio di rifinanziamento;
- i rischi di credito, dal momento che il climate change deve considerato più attentamente per la concessione di nuovi finanziamenti, il monitoraggio del livello di concentrazione settoriale e geografico del portafoglio (utilizzando le c.d. mappe di calore – heatmaps) e la valutazione delle garanzie che assistono i finanziamenti stessi.
Il trattamento dei dati, infine, viene specificamente enfatizzato dalla vigilanza: per svolgere correttamente la loro attività gli intermediari devono servirsi di fonti “autorevoli” e adeguate e la qualità e l’archiviazione delle informazioni deve rispondere a criteri rigorosi.
Basteranno queste “aspettative” per innescare un processo virtuoso e un’accelerazione nel cambiamento?
Nel recente documento dell’IPCC si lancia l’ennesimo e drammatico appello a una presa di coscienza collettiva sui rischi che corriamo e il settore finanziario, prima di tutti, deve fare la sua parte.
@PietroNegri6 |