Quando il lemma “sal” – sale, si incontra con la desinenza “arium” ovvero attinente, prende forma appunto il salario.
Magistrati, soldati e impiegati civili nell’antica Roma ricevevano per la loro opera il cosiddetto oro bianco.
Senza, non era possibile la conservazione dei cibi – la sua rarità era divenuta nel tempo il simbolo di una natura in grado di guidarci entro luminosi sentieri sostenibili.
Il seme del lavoro che si fa scudo contro il degrado biologico del cibo vitale alla nostra esistenza.
Conservare preservare, difendere quel che ci ruota attorno. Questa è la vera forza rivoluzionaria del salario.
Non un algoritmo che lo rende simile ad un Bitcoin, ma un atomo in grado di mantenere in equilibrio i protoni, gli elettroni e i neutroni che ruotano intorno alle nostre vite.
Il diritto alla salute, alla qualità e trasparenza dei processi sono il vero nocciolo che il capitalismo odierno sta pervicacemente fondendo o meglio scindendo.
Questo si che è amaro.
Un salario che cola come un blob, con la sua massa priva di consistenza, frutto delle ottuse politiche commerciali degli uffici pollaio che sono ormai divenute le nostre banche non può che creare nuove povertà diffuse ed inconsapevoli.
Amaro si, è vedere che intorno al tavolo siedono alcuni commensali, raffinati gourmet di questo indigeribile blob che tra un panel e l’altro provano ancora una volta ad invadere il territorio privo di sale che rischia di diventare la Fisac-Cgil oggi.