Nota di presentazione
di Ugo Balzametti
Quello che presentiamo è il primo elaborato (WG1) del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC, la più aggiornata e completa rassegna scientifica sui cambiamenti climatici. Altri due elaborati saranno presentati nel 2022.
A Gasgow sarà sul tavolo dei lavori della Conferenza mondiale sul clima.
Il Working Group dell’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC), struttura dell’ONU, ha coinvolto 234 scienziati di 66 paesi, i quali hanno analizzato oltre 14.000 articoli scientifici e circa 78.000 commenti di esperti e governi. Questo Rapporto è stato approvato il 6 agosto da 195 governi membri dell’Ipcc, nel corso di una sessione che si è tenuta per due settimane.
Le principali conclusioni: la temperatura media globale del pianeta nel decennio 2011-2020 è stata di 1,09°C superiore a quella del periodo 1850-1900; la concentrazione dei principali gas serra è oggi più elevata degli ultimi 800.000 anni.
A meno che non ci siano riduzioni immediate delle emissione di gas serra, limitare il riscaldamento a circa 1,5°C o addirittura a 2°C sarà un obiettivo fuori da ogni portata.
Tra le conseguenze principali, una riduzione del ghiaccio artico che non ha eguali negli ultimi 2000 anni. Il livello del mare è cresciuto ad una velocità mai osservata negli ultimi 3000 anni. Dal 1901 al 2020 il livello del mare è cresciuto di 20 cm, con una crescita media di 1,35 mm/anno e una crescita accelerata di 3,7mm/anno tra il 2006 e il 2018. L’acidificazione delle acque marine è cresciuto ad una velocità mai visti negli ultimi 26.000 anni.
Gli studi condotti nei mari artici effettuati da un equipe di scienziati americani hanno confermato che, sciogliendosi il permafrost (suolo perennemente ghiacciato in profondità), enormi masse di metano, un tempo imprigionate nelle profondità dei ghiacci, vengono in superficie e contribuiscono, oltre ad una ulteriore accelerazione dello scioglimento, ad alimentare l’effetto serra.
Il Rapporto dell’IPCC ci dice che il sistema di produzione e consumo, che va sotto il nome di turbocapitalismo, si è ormai esteso fino al più remoto villaggio dell’Amazzonia. Il ritmo della devastazione si è molto accelerato attraverso effetti moltiplicatori, come l’alterazione del ciclo delle acque e lo scioglimento dei ghiacciai o dell’Artico.
La zona oltre il circolo polare non è più il grande regolatore termico della terra ed è diventato un calorifero spinto alla massima potenza.
Alcuni effetti del cambiamento climatico in atto sono irreversibili e proseguiranno per centinaia di anni. Sarà necessario ridurre drasticamente le emissioni, almeno del 7% circa all’anno per ottenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5- massimo 2%.
Il production Gap Report del 2021,realizzato da importanti istituti di ricerca inserito nel Programma dell’ONU (UNEP), rileva che nonostante le promesse e gli impegni netti zero al 2050, i governi prevedono ancora di produrre più del doppio della quantità di combustibili fossili fino al 2030, rispetto a quanto sarebbe coerente con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C.
Si stima che i paesi hanno diretto oltre 300 miliardi di dollari di nuovi fondi verso attività legate ai combustibili fossili dall’inizio della pandemia di Covid-19, più di quanto abbiano investito in energia pulita.
Ma questo processo è inarrestabile? Tomas Stoker, direttore del gruppo di lavoro IPCC, afferma che la possibilità di limitare a 2 gradi il riscaldamento globale esiste ancora, ma richiede sforzi enormi, ambiziosi circa la riduzione delle emissioni di CO2.
L’obiettivo emissioni nette zero nel 2050, non può avvenire senza il consenso e il sostegno attivo delle persone. Sono necessari anche cambiamenti comportamentali, ovvero adeguamenti nella vita quotidiana che riducano il consumo di energia dispendioso o eccessivo.
Sono particolarmente importanti nelle parti più ricche del mondo dove gli stili di vita ad alta intensità energetica sono la norma. I cambiamenti comportamentali possono cambiare e cambiano.
L’esperienza ci dice che gli atteggiamenti delle persone non sono scolpiti nella pietra. La recente pandemia di Covid-19 ha dimostrato che le persone sono disposte ad adottare cambiamenti rapidi e radicali del proprio comportamento di fronte ad una crisi.
A Glasgow ormai si stanno concludendo i lavori della Cop26, purtroppo il rischio che le tante attese su come intervenire sul riscaldamento globale vengano deluse è alto.
Un esempio per tutti. Il Presidente del Brasile Bolsonaro è arrivato a Glasgow annunciando la firma sull’accordo per la fine della deforestazione entro il 2030. Solo da gennaio a settembre l’Amazzonia ha perso 8.939 Km2 di foresta, il 39% in più rispetto allo stesso periodo del 2020. La sua adesione al piano è pura retorica. Bla Bla Bla
La verità vera è che i leader mondiali hanno accuratamente evitato di toccare il vero problema: il capitalismo.
Se non si cambia spartito, non si fermerà mai il riscaldamento globale, con il rischio di arrivare al 2030 con un aumento delle temperature di oltre mezzo grado. Le conseguenze le vediamo: molte specie di animali si estingueranno; si darà spazio alle monoculture, sempre più spesso dovremo fare i conti con grandi catastrofi ambientali che si susseguono rapidamente.
Il Rapporto Ipcc sottolinea come sia evidente che non è sufficiente tenere l’aumento delle temperature sotto i 2é gradi, occorrono tutta una serie di interventi immediati, dato che ormai è evidente che alcune zone del pianeta sono interessate in maniera maggiore di altre al cambiamento climatico.
Ce lo fanno capire le piogge della scorsa primavera quando l’Europa nord-occidentale hanno conosciuto un aumento senza precedenti della intensità e della quantità delle precipitazioni che hanno provocato alluvioni in Belgio e in Germania.
Il Rapporto spiega anche che non è più tempo di negazionismo: i modelli di simulazione su ciò che potrebbe avvenire sul pianeta hanno ridotto gli errori quasi a zero.
In questo contesto sistema capitalistico non offre le condizioni per operare mutamenti strutturali, in quanto le sue scelte seguono unicamente la logica del profitto, sacrificando la natura e le vite umane.
Il grido dell’indigena brasiliana Txai Suruì, figlia di Almir, uno dei leader più rispettati del Brasile, è risonato forte proprio in apertura dei la vori della Cop 26: “ Mio padre mi ha insegnato che dobbiamo ascoltare le stelle, la luna, gli animali, gli alberi. Oggi il clima sta cambiando, gli animali stanno scomparendo, i fiumi muoiono, le nostre piante non fioriscono come prima. La Terra ci sta dicendo che non abbiamo più tempo”.