I frutti di una società orfana di domande sono inesorabilmente avvelenati.
Forse non e ne rendiamo conto ma la carestia di tolleranza in cui siamo precipitati non sembra trovare ostacoli. Dalle famiglie, alle carceri, dal lavoro alla politica gli unici semi che resistono sono quelli della violenza.
Proprio per questo ci è tornata alla mente la figura di Danilo Dolci
Si racconta che durante un seminario con gli studenti, Danilo poneva domande e si creava attorno a lui una concentrazione. Nel nucleo del suo pensiero pedagogico c’era un tentativo di fondazione della democrazia. L’idea che si poteva trasformare la comunicazione da campo di battaglia, dove la sopraffazione era norma, in qualcos’altro.
La maieutica reciproca aveva bisogno di domande, di un gruppo di persone, di tempo per il pensiero. Durante quei seminari succedeva una cosa strana e normale: i pensieri degli altri ti suscitano idee nella testa e ognuno tirava fuori un pensiero nuovo è grato all’altro che lo aveva aiutato a farlo nascere. Dolci aveva intuito che anche il suo potere nel gioco della comunicazione, finiva per trasformarsi in uno strumento di sopraffazione. Che per tutta la vita abbia cercato, anche sbagliando, qualcosa di radicalissimo: un metodo capace di permettere alla comunicazione di venir fuori dal campo della sopraffazione, di fondare la democrazia, pensandola come il continuo, reciproco, rafforzamento delle potenzialità di ciascuno.
Un metodo che non possediamo già, ma che si impara. Certo non proponiamo la maieutica di Dolci come la soluzione, ma mai come oggi la sopraffazione si gioca ovunque e in modo acutissimo nella comunicazione, e allora forse andare a vedere che cosa Dolci ha da dirci è doveroso.
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