(dal Sole24Ore del 18 giugno 2021)
Lo conoscevano tutti come Adil, il coordinatore dei SiCobas di Novara che è morto investito da un camion che ha forzato un blocco degli autonomi davanti ai cancelli della Lidl di Biandrate, vicino Novara. Secondo una prima ricostruzione l’autista, un ragazzo italiano di 25 anni, sarebbe poi fuggito per poi essere bloccato dalle forze dell’ordine. Poco dopo è stato arrestato con le accuse di omicidio stradale e resistenza. A terra è rimasto il corpo senza vita di Adil che aveva 37 anni, una moglie e due figli adolescenti. «Sono molto addolorato per la morte di Adil Belakhdim. È necessario che si faccia subito luce sull’accaduto», ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Per il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, «è gravissimo quello che è accaduto» e le circostanze «andranno immediatamente chiarite. Nel settore della logistica stiamo assistendo ad una escalation intollerabile di episodi di conflittualità sociale che richiedono risposte urgenti. Alla famiglia del sindacalista la nostra vicinanza».
Lo sciopero dei Cobas contro il contratto della logistica
Oggi è la giornata dello sciopero della logistica organizzato dai Cobas dove si intrecciano una serie di rivendicazioni che stanno surriscaldando un clima molto teso nel settore. Lo sciopero, a cui farà seguito una manifestazione domani a Roma contro il blocco dei licenziamenti, è contro il contratto collettivo nazionale della logistica firmato dalle 20 associazioni datoriali della logistica (da Anita a Confetra) e dai sindacati confederali, Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti che ha accordato ai lavoratori un aumento di 104 euro. Ma è anche contro la chiusura dell’hub di Piacenza a cui si appoggiava anche Fedex che ha redistribuito le attività che ruotavano attorno a quel sito su altri siti. Di qui i 280 lavoratori rimasti senza lavoro per i quali è in corso una trattativa su un doppio tavolo, uno con i confederali e uno con gli autonomi che sono il sindacato maggioritario a Piacenza. Ed è, infine, per il riconoscimento dei Cobas come interlocutore ai tavoli sindacali.
Le rivendicazioni degli autonomi
Abbiamo parlato con Aboutabikh Mahmoud che è il coordinatore provinciale di Torino dei Si Cobas per capire che cosa sta succedendo. «Oggi c’è lo sciopero nazionale della logistica contro il contratto che hanno firmato i confederali che hanno rinnovato la parte economica del contratto con 104 euro in 4 anni, di cui 15 euro in arrivo a ottobre. Noi vogliamo aumenti salariali adeguati, con meno ore di lavoro a parità di salario. Poi c’è la questione dei lavoratori del fornitore di Fedex a Piacenza. Non è vero che vogliono sedersi al tavolo col sindacato. Noi siamo il sindacato più rappresentativo a Piacenza ed è con noi che devono dialogare. E diciamo che il sito di Piacenza non va smantellato e che i 280 lavoratori devono essere tutti riassunti dentro la cornice di un accordo collettivo, non attraverso trattative individuali con i lavoratori».
Nei Si Cobas c’è una richiesta forte di inclusione nelle trattative, di cui però non vi è la condivisione dell’impostazione che si deve a una diversa visione del sindacato come dicono le parole di Aboutabikh Mahmoud: «Noi ci basiamo sulla nostra forza, sugli scioperi, sui picchetti e nei magazzini dove abbiamo la rappresentanza ci sono condizioni migliorative rispetto a quelle del contratto della logistica con il ticket mensa di 8 euro e l’applicazione del quarto livello». È una visione del sindacato molto diversa da quella dei confederali ma anche da quella che chiede sedersi a un tavolo sindacale con l’obiettivo di arrivare a una conclusione attraverso la sola forza delle parole. Aboutabikh Mahmoud ci dice però che «noi vogliamo essere inclusi nella trattativa del contratto collettivo nazionale, ma è già stato firmato senza includerci ed è stato chiuso al ribasso». Sui rapporti con i confederali il sindacalista risponde dicendo che «i SiCobas hanno rapporti con i lavoratori e con questa gente che firma accordi al ribasso con i padroni che rapporti vuole che abbiamo?»
Il caso di Tavazzano con Villavesco
Non sono esattamente parole che invitano al dialogo, ma l’interlocuzione è utile per capire anche gli ultimi fatti di cronaca che hanno coinvolto i SiCobas. Aboutabikh Mahmoud continua a ripeterci che a Tavazzano con Villavesco (Lodi) i lavoratori sono stati aggrediti dalle guardie della security del fornitore a cui si appoggia Fedex che non ha dipendenti diretti nel sito. Cosa sia successo esattamente la scorsa settimana nel lodigiano, lo diranno le indagini. E a parlare saranno anche le immagini delle videocamere di sorveglianza che chiariranno le dinamiche degli scontri avvenuti nel polo logistico, a cui si sta appoggiando transitoriamente anche Fedex. Puntare il dito contro la chiusura del sito di Piacenza per spiegare tutto, significa vedere solo una parte della storia. Dietro c’è molto di più. C’è la forte rappresentanza dei Cobas che in quell’hub sono il sindacato maggioritario e la loro visione del sindacato, molto diversa da quella confederale, anche nei metodi e nei mezzi utilizzati. C’è la lotta per la rappresentanza, per il riconoscimento del sindacato degli autonomi ai tavoli negoziali. Vissuta come una limitazione dell’attività sindacale. Ma c’è anche una lunga catena di appalti e subappalti che sfocia in mondi di confine. E proteste e picchetti di cui sono solo la punta dell’iceberg le manifestazioni a Tavazzano o lo sciopero nazionale dei Cobas contro il contratto collettivo nazionale della logistica. La chiusura del sito Fedex di Piacenza, cancellato anche da Google maps, e le internalizzazioni si associano così all’inizio di un percorso di normalizzazione di un settore molto variegato.
Gli 800 internalizzati
Nei mesi scorsi, come abbiamo raccontato noi del Sole24Ore, Fedex ha avviato un piano di insourcing (internalizzazione, ndr), di 800 addetti al servizio di smistamento pacchi negli hub nazionali e nelle stazioni di Padova, Ancona, Bari, Bologna, Fiano Romano, Firenze, Napoli Teverola. «Si tratta di assunzioni dirette, fatte dal bacino dei nostri fornitori che hanno già riguardato 150 addetti a Padova, entrati in servizio dal primo maggio, 150 a Bologna dal primo giugno e dal primo luglio altri 120 tra Firenze e Ancona. In ottobre procederemo a Fiano Romano, Napoli e Bari. Il percorso andrà avanti secondo i piani», spiega Stefania Pezzetti, presidente del consiglio di amministrazione di Fedex in Italia. È una scelta strategica «in un momento in cui il mercato richiede un servizio stabile e affidabile e la concorrenza per i clienti è più intensa che mai», continua Pezzetti. Proprio per questo motivo, per ottenere una maggiore affidabilità del network e prestazioni di servizio senza soluzione di continuità, Fedex sta implementando un modello operativo di handling di proprietà e controllato negli hub e nelle stazioni. E nel 2022 aprirà un nuovo hub logistico a Novara per supportare lo sviluppo dell’e-commerce. «La nostra esperienza ha dimostrato che promuovere un senso di appartenenza e garantire un dialogo diretto con i membri del team che lavorano nelle nostre strutture – in tutta l’organizzazione – è essenziale per creare la chiarezza, il coinvolgimento e l’impegno necessari per raggiungere i nostri obiettivi strategici – osserva Pezzetti -.Negli ultimi 5 anni, abbiamo introdotto con successo un modello di gestione diretta simile in altre sedi, al fine di garantire la continuità, l’efficienza operativa e il miglioramento delle prestazioni del servizio». «Il superamento degli appalti e della catena del subappalto è il primo baluardo per il contrasto all’illegalità ed alle forme improprie di utilizzo di cooperative spurie, nel settore – osserva il segretario generale della Filt Cigl, Stefano Malorgio -. E proprio con Fedex il sindacato confederale ha raggiunto un accordo che internalizza tutti i lavoratori degli appalti. Siamo quindi di fronte ad una delle più grandi operazioni di regolarizzazione del settore in Italia che prevede 800 internalizzazioni».
La decisione di chiudere Piacenza
Nei mesi scorsi la società ha però deciso di lasciare il sito di Piacenza che è definitivamente chiuso e in fase di smantellamento. A irrompere nel quadro dell’internalizzazione, si colloca un’operazione di riorganizzazione traumatica. «La multinazionale – racconta Malorgio – ha scelto unilateralmente di lasciare il sito di Piacenza e il fornitore che aveva qui. Adesso ci sono circa 280 lavoratori che lavorano per il fornitore che devono avere una risposta occupazionale e di garanzia per il futuro. Non può essere lasciato indietro nessuno». Dal punto di vista occupazionale la scelta non ha avuto ricadute dirette sull’azienda, ma sul fornitore, la Alba (gruppo Lintel) che «si è resa disponibile ad aprire un tavolo con le parti sociali, in cui noi abbiamo dato il nostro sostegno», dice Pezzetti. La vicenda ha coinvolto circa 280 persone e nei due tavoli di trattativa aperti, uno con i confederali e l’altro con gli autonomi, Si Cobas e Usb, la parte datoriale ha offerto un pacchetto con un incentivo all’esodo volontario e un percorso di outplacement, a cui poi seguirebbe la Naspi. La trattativa non ha però avuto ancora una soluzione positiva. Malorgio dice che la strada «deve essere quella della ricollocazione, anche interna, dei lavoratori. Intorno a Piacenza ci sono i più importanti poli logistici del nord Italia, da Lodi, a Pavia, a Peschiera Borromeo. È nella direzione della ricollocazione che bisogna guardare». Una direzione a cui non guardano però gli autonomi che chiedono la riapertura dell’hub di Piacenza. Una scelta su cui però l’azienda non farà passi indietro. «Il sito di Piacenza è stato chiuso perché non funzionale al nostro network – chiarisce Pezzetti -. Abbiamo scelto di processare le attività in altri siti, nell’ambito di una riprogettazione del network nazionale in modo da garantire la sostenibilità della nostra attività in Italia, soprattutto in un momento in cui il mercato richiede un servizio stabile e affidabile e la concorrenza per i clienti è più intensa che mai».
La strategia della tensione
Dopo la chiusura di Piacenza sono però iniziati i blocchi e i picchetti continui a Peschiera Borromeo e non solo. Così « il fornitore a cui ci appoggiamo in caso di necessità ha aperto temporaneamente un sito alle porte di Lodi, a Tavazzano», dove ieri c’è stato un presidio e un corteo dei Si Cobas. Sugli scontri di Tavazzano, dove ci sono stati diversi feriti, Pezzetti non rilascia commenti ma si limita a dire che «Fedex condanna qualsiasi forma di violenza. Resta il fatto che così come esiste il diritto di manifestare, esiste quello di lavorare. Bisognerebbe garantire a chi è nei siti di poter lavorare liberamente e in sicurezza». Malorgio, sottolinea che «il fatto che è avvenuto sta coprendo una delle azioni più importanti nel settore e cioè l’internalizzazione di 800 lavoratori. La decisione di Fedex di chiudere Piacenza, però, la contestiamo e chiediamo che si ragioni sulla ricollocazione, anche interna, dei lavoratori».
Sullo sfondo della vicenda piacentina si staglia però anche un’altra questione e cioè la diversa visione del sindacato dei confederali e degli autonomi. E il mancato riconoscimento del sindacato degli autonomi ai tavoli negoziali, come quello del contratto della logistica, che è vissuta come una limitazione dell’attività sindacale. «Fedex però – sottolinea Pezzetti – non detta le regole di appartenenza ai lavoratori. Il contratto che applichiamo è però il contratto collettivo nazionale della logistica che ha determinati firmatari».
Numeri alla mano, Malorgio riconosce che ci sono siti in cui i Cobas sono maggioritari, come Piacenza, ma «il sindacato confederale rappresenta complessivamente oltre l’80% degli iscritti nella logistica e c’è una legge sulla rappresentanza. Semmai occorre un piano della logistica e dell’e-commerce nel quale lo Stato eserciti le funzioni di programmazione e definizione delle condizioni minime per chi in quei siti lavora, a partire dal rispetto dei contratti e del riconoscimento del sindacato. Bene la proposta del ministro del Lavoro Andrea Orlando di un tavolo specifico, con la quale si recupera la lunga assenza della politica da un settore strategico di cui ci si accorge solo in momenti drammatici, ma che rappresenta il 9% del Pil».
Aboutabikh Mahmoud ci lascia perché ha una riunione sulle nuove iniziative dopo l’incidente di Biandrate. Dopo averci gentilmente spiegato le rivendicazioni dei SiCobas ci lascia con una certezza: «Non ci fermamo qui».
Marco Revelli 19 giugno 2021 IL MANIFESTO
La logistica si sta rivelando ogni giorno di più come il vero cuore nero del capitalismo italiano. Il punto di snodo delle linee strategiche del modello produttivo dominato dalle grandi piattaforme, quello dove con maggiore intensità si scaricano i processi di accelerazione in corso e, di conseguenza, si esasperano i livelli dello sfruttamento e le tensioni nel rapporto capitale-lavoro.
La morte atroce di Adil Belakhdim davanti ai cancelli della Lidl di Biandrate ne è una terribile conferma. Riproduce il profilo della più classica conflittualità sindacale in tempi d’imbarbarimento dell’agire padronale, quando si arriva a toccare la nuda vita, e a toglierla, in un contesto nel quale la logica del profitto mostra di non rispettare più nulla, né leggi dello Stato (di uno Stato che ha abdicato alla propria sia pur formale imparzialità) né della decenza.
Adil era il coordinatore novarese del Si Cobas, sindacato radicatissimo nel comparto ma spesso ignorato o marginalizzato ai tavoli negoziali, aveva 37 anni, due figli, e la dignità di chi non abdica ai propri diritti. Ora sappiamo che il presidente del Consiglio Draghi chiede di “fare piena luce”. E ci domandiamo: “su cosa?”. Basterebbe una sia pur fuggevole occhiata ai fatti, di oggi e delle settimane passate, per capire.
Qualche giorno fa a Tavazzano, vicino a Lodi, l’aggressione a un altro picchetto dei lavoratori Si Cobas da parte di energumeni sul modello tardo ottocentesco dei Pinkerton americani, a terra numerosi lavoratori, uno in gravi condizioni. E prima ancora, gli scontri a San Giuliano Milanese, sempre in quel triangolo incandescente della logistica che sta tra lodigiano, cremonese, piacentino – punto d’incrocio dei grandi assi autostradali su cui viaggiano, ininterrotti i flussi di merci – dove il nuovo far west del lavoro mette in scena il proprio mucchio selvaggio.
All’origine di tutto l’iniziativa della FedEx TNT, gigante della trasportistica globale – circa 400.000 collaboratori, 160.000 veicoli, 657 aerei, 22,4 miliardi di dollari di fatturato – grande beneficiata dalla pandemia, che fin da febbraio ha deciso di chiudere il proprio hub piacentino, dove i Cobas erano maggioritari, lasciando a casa centinaia di lavoratori e distribuendo le proprie sedi logistiche nei capannoni lodigiani e milanesi, dove appunto i licenziati hanno inseguito il proprio lavoro disperso e sono stati accolti a sprangate.
È un anticipo di come questi padroni intendono la “ripartenza” e interpretano la fine del blocco dei licenziamenti. Draghi, se vuole la luce, farebbe bene ad accenderla in casa propria. Ma questa storia non parla solo dell’imbarbarimento padronale. Parla anche di un fallimento storico del sindacato confederale. Del buco nero che il suo abbandono dei canoni più propri del sindacalismo classico ha lasciato scoperto.
Della sua incapacità di tutelare le fasce più sfruttate (spesso composte da lavoratori migranti, i più vulnerabili). Della sua pervicace volontà di
tagliare fuori le rappresentanze di base dalle trattative. Talvolta della sua, reale o apparente, connivenza con una controparte che non sanno, o non vogliono, contrastare come si dovrebbe.
Non si deve dimenticare che lo sciopero per cui Adil è morto si svolgeva nel quadro della giornata nazionale di mobilitazione della logistica proclamata da tutto il sindacalismo di base contro gli episodi di “squadrismo padronale” ma anche contro il contratto nazionale di lavoro di recente siglato dai Confederali e considerato, appunto, collusivo. Così come fa male, a chi ha conosciuto la Cgil in altri tempi, sapere che
l’intervento della polizia contro i picchetti dei lavoratori della FedEx TNT di Piacenza che all’inizio di aprile protestavano contro la chiusura, era stato richiesto da esponenti della Camera del lavoro locale, che infatti nei giorni successivi era stata circondata in segno di protesta da centinaia di lavoratori disgustati.
Spettacolo che dovrebbe far riflettere i tanti che ancora in Cgil credono nella propria storia, e che a me personalmente ha ricordato il luglio del’62 a Torino, quando migliaia di operai Fiat assediarono la sede della Uil, rea di aver firmato un contratto separato con Valletta. E fu, quello, l’inizio
del poderose ciclo di riscossa operaia che sarebbe culminato con l’autunno caldo.
Responsabilità sociale
FedEx sa quanto gli interessi delle comunità, dei luoghi di lavoro e del pianeta siano interconnessi. Il futuro dell’azienda dipende dalla nostra capacità di riconoscere e bilanciare tali esigenze in ogni nostra attività.
Nell’ambito del programma FedEx Cares, FedEx investe per migliorare la vita delle persone nelle comunità in cui è presente ed opera.
La nostra strategia è semplice: fare del nostro meglio per chi ne ha bisogno. Ciò include la condivisione delle nostre conoscenze e risorse in collaborazione con organizzazioni non governative e non profit, con il proposito di affrontare alcuni dei maggiori problemi della società.
Il nostro obiettivo è quello di creare un impatto misurabile e a lungo termine nelle comunità di tutto il mondo, concentrando i nostri sforzi in cinque aree principali:
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“Ci mettiamo continuamente alla prova affrontando grandi problemi, a livello locale e su scala globale. Che si tratti di aiutare piccole aziende a espandere la propria presenza sul mercato o di investire nelle comunità per risolvere il problema della disoccupazione giovanile, tutto ciò che facciamo per sostenere le economie locali risponde al nostro obiettivo principale: collegare persone e opportunità.”