Siamo in Africa, in Camerun, stato francofono dell’Africa occidentale, e più precisamente a Minta, cittadina del dipartimento dell’Haute-Sanaga nell’entroterra centrale.
È il 1967, ottobre; i venti che soffiano dall’oceano atlantico portano fresco ed umidità fin nell’interno del paese, mentre a casa Yayumayalolo nasce Bona Pinder, un maschietto.
La famiglia non è certo benestante: il papà gira di villaggio in villaggio a cantare avventure e gesta a sua volta apprese da anziani girovaghi; spesso lo accompagna la moglie che con il canto sottolinea i passaggi delle storie e lo aiuta a raccogliere le offerte -cibo soprattutto, mai denaro!- , e già all’età di tre anni si unisce alla compagnia il piccolo Bona.
Resta affascinato dai racconti ed in particolare dalle musiche e da ritmi antichi e familiari.
A quattro anni Bona si costruisce un Balafon, strumento tipico dell’africa sub-sahariana occidentale: si tratta del progenitore dello xilofono e del vibrafono, stecche di legno di diverse lunghezze affiancate le une alle altre e sovrapposte a zucche vuote ed aperte superiormente a fare da cassa di risonanza.
Ma il balafon è ingombrante e pesante, impossibile da portarsi dietro, e così Bona comincia a costruirsi degli strumenti musicali a corda utilizzando anche vecchi parafanghi d’auto rottamate o serbatoi di moto. Le corde sono spaghi o budelli animali e il ragazzo si limita ad utilizzarne quattro accordandole istintivamente “per quarte” tipo: Mi-La-Re-Sol; guarda caso l’accordatura usata comunemente per il basso elettrico…
Ben presto la sua abilità viene notata e inizia ad esibirsi in feste locali ed eventi nei paesi vicini; appena più grandicello impara a suonare la chitarra (vera) e mette insieme un gruppetto di amici con i quali suonare un tipo di musica che trae le radici dai canti ascoltati fin da bambino, ma lascia larghi spazi all’improvvisazione.
Arriva così a frequentare un jazz club a Douala, città popolosa sulla costa atlantica, nasce un’amicizia con il proprietario del locale, un europeo appassionato di jazz, che gli fa sentire i suoi numerosi dischi.
Bona sente per la prima volta il basso elettrico suonato da Jaco Pastorius, bassista jazz geniale e rivoluzionario, e si innamora dello strumento. La scelta è fatta!
Grazie alle amicizie del gestore del locale, Bona, ormai chiamato Richard Bona per semplicità, ventenne si trasferisce a Düsseldorf in Germania per studiare musica, ma dopo qualche anno conosce dei jazzisti francesi che lo convincono ad andare a Parigi dove c’è maggior fermento culturale e musicale.
Sono anni di crescita importante per Richard Bona, suona con un gran numero di musicisti finché dopo quattro o cinque anni incontra sulla sua strada dei professionisti americani con i quali fa amicizia.
In breve, quando gli americani ripartono si portano dietro Richard, fino a New York dove incontra e suona con gente del calibro di Joe Zawinul, Branford Marsalis, Chaka Khan, George Benson, ecc.
Lo stile di Richard Bona, affinatosi nel corso degli anni e delle esperienze, è unico: alterna passaggi virtuosistici assoluti a parti in cui domina solo il ritmo, insieme al basso utilizza magistralmente la voce, sia vocalizzando all’unisono con lo strumento, sia intrecciando melodie dal sapore etnico.
Eccolo insieme a Bobby Mcferrin in una improvvisazione:
In gruppo:
Con Pat Metheny
Richard Bona oggi vive e lavora a New York dove ha la cattedra di musica jazz alla New York University; collabora con musicisti di prima grandezza in ogni parte del mondo, i suoi concerti registrano il tutto esaurito con mesi di anticipo.
Ma in ogni sua musica c’è sempre un po’ d’Africa, e questo è molto bello!
Qual è il significato di questa storia? Quale riflessione induce nel lettore?
Non lo so. Ognuno ci può trovare spunti per pensare, ma soprattutto è una bella storia!