Il 10 marzo u. s. il Segretario Generale della CGIL, Maurizio Landini, a margine dell’incontro avuto con Mario Draghi per la sottoscrizione del “ Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”, in una lunga dichiarazione riaffermava la centralità del lavoro pubblico specificando comuni , ministeri, sanità, scuola, lavoratori della conoscenza.
Nel frattempo, il 9 marzo, il segretario generale della FISAC/CGIL, Nino Baseotto, aveva condiviso e sottoscritto con ABI e le altre organizzazione sindacali del settore creditizio una comunicazione indirizzata al Presidente del Consiglio e ad alcuni ministri, con la quale si definiva il settore bancario servizio pubblico essenziale e infrastruttura strategica per il Paese e si chiedeva che “ la realizzazione del piano vaccini confermi opportunamente l’attenzione per il personale impegnato nell’erogazione dei servizi bancari- inclusi nell’ambito di quelli essenziali ( ai sensi della legge 146 del 1990) “.
Senza voler soffermarsi sulla palese antinomia tra le due affermazioni occorre chiedersi se la risposta corporativa sia quella più giusta per la lotta alla pandemia e se la stessa rientri nella visione politica e nella dimensione etica della CGIL.
I più autorevoli commentatori hanno sostenuto, nelle settimane precedenti, che l’innalzamento dei contagi, la bassa copertura vaccinale, il conseguente caos sanitario dipendessero in massima parte dalla polivalenza decisionale, dalla diaspora tra Governo, Regioni, Comuni che hanno impedito allo Stato e alle sue Istituzioni di esercitare in modo omogeneo e coordinato la propria funzione ordinatrice e regolatrice. D’altra parte è più che sufficiente l’evidenza empirica e il raffronto con le altre nazioni per convenire totalmente con questa tesi.
Ebbene questo è il tempo dell’unità e della comunità, dell’uguaglianza, del pubblico interesse, della solidale coesione, del sentirsi e del dimostrare di essere un popolo e non una gente, della koinè, una lingua comune che si sovrapponga ai dialetti locali.
Per tale motivo ogni chiusura corporativa , ogni deriva categoriale rappresentano non solo un esercizio egoistico, ma una frattura con rischio d’irreversibilità del tessuto connettivo del Paese, una lacerazione di interessi dagli esiti imprevedibili.
E’ oggettivamente lontana, se non in insanabile contraddizione, con valori fondamentali della CGIl la logica delle caste professionali, la tutela della parzialità, l’esercizio di una rappresentanza esclusivamente incentrata su un asfittico orizzonte.
Occorrerebbe, al contrario, un sindacato capace di una rappresentanza collettiva, unificante, focalizzata sulla collettività e, per usare le parole di Luciano Lama “ soggetto politico di trasformazione “.
La CGIL di oggi è in grado di esserlo? Vaste Programme, risponderebbe Charles De Gaulle.
Domenico Moccia
Poche scarne ed eleganti parole quelle scolpite da Mimmo, pronunciate in questo buio tempo di pandemia che tutto avvolge.
A noi restano soltanto due considerazioni.
La prima riguarda le organizzazioni unitarie del credito che hanno incredibilmente condiviso con i propri datori di lavoro la proposta di allargare il campo delle categorie fragili e di quelle più esposte includendo i bancari ripescati grazie ai cosiddetti sensi legge.
Anche se la matematica ci conferma purtroppo che a misere quantità di vaccino se si aumenta il denominatore qualcuno resterà senza.
E ciò non merita alcun ulteriore commento.
La seconda e conclusiva la dedichiamo a Landini che per la seconda volta in un anno si vede scappare una categoria nell’interlocuzione con il Governo.
Prima Calcagni ed oggi Baseotto.
Stavolta il commento lo facciamo: “non sarà questione di statura?” quella che sicuramente Luciano Lama possedeva.