Come si trasforma il capitalismo
di Ugo Balzametti
I sistemi automatizzati di machine learning (apprendimento automatico) non hanno altro fine che il proprio sistematico accrescimento, non si pongono nessun limite di carattere etico, morale, fisico/ambientale e nessun principio di responsabilità per l’oggi e il futuro. Anzi crea un mondo tutto artificiale governato dalla mano invisibile del mercato.
In questo senso Google rappresenta una nuova specie di capitalismo definito di sorveglianza i cui profitti derivano dalla cura, dall’influenza e modifica del comportamento umano, come ha scritto Shoshana Zuboff autrice del celebre libro In the Age of the smart machine: “Il capitalismo è stato “tradito” da un progetto speculativo di sorveglianza che sovverte i normali meccanismi evolutivi della società e dell’economia cambiando completamente le regole del gioco e le dinamiche di domanda e offerta che per anni hanno assicurato la democrazia del mercato”
Tecnica e capitalismo sono una cosa sola (tecno-capitalismo),reciprocamente funzionali e il capitalismo, come la tecnica, è fondato sulla produzione di disuguaglianza e sulla competizione esasperata.
Su iniziativa di Algorithim Watch, organizzazione no profit che riunisce studiosi europei della materia, è stato redatto nel 2020 un rapporto che disegna un quadro completo e preoccupante rispetto all’introduzione dei logaritmi nelle decisioni che riguardano aspetti importanti della vita del cittadino o dell’attività delle istituzioni
Il rapporto ADM (Automated Decision Making) delinea uno scenario di fondo complesso e segna un cambio di rotta molto radicale. Se il precedente rapporto redatto nel 2019 si parlava di automating society, ora si è passati all’automated society. Il divenire è ormai essere. E’ una realtà, non più un’ipotesi.
In un anno la situazione è cambiata rapidamente, anche sotto l’incalzare della pandemia. I sistemi ADM hanno avuto una tale diffusione in ogni settore della società che possiamo dire che dall’automazione della società siamo passati alla società automatizzata.
La tecnica digitale e gli algoritmi prescindono da ogni concetto di limite e di responsabilità, ma anche di etica, giustizia sociale, ambientale, redistributiva e soprattutto di democrazia. Ne consegue che le macchine artificiali definiscono la nostra condizione umana, la nostra posizione professionale.
L’uso delle macchine intelligenti spesso ha eluso le regole circa il rapporto tra governance democratica e automazione; è indispensabile quindi fare ogni sforzo per contrastare l’opacità che caratterizza l’uso di questi sistemi.
Raniero Panzeri scriveva settant’anni fa “l’impresa, la fabbrica, tende a pervadere tutta la società civile. .L’impresa scompare come specifico momento produttivo, tende ad imporsi a tutta la società e quindi quelli che sono i tratti caratteristici delle aziende, della fabbrica tendono a pervadere tutti i livelli della società. Il capitalismo cerca ogni modo per estendere la sua razionalizzazione oltre i limiti delle imprese”.
Si realizza quella che viene definita l’impresa integrale globale dove tutti sono messi al lavoro 24 h su 24, sette giorni su sette, governata da un sistema che ha decentrato non la democrazia, ma la “forma” delle aziende , centralizzando ancora di più il controllo di vita dell’uomo.
Anche l’Industria 4.0 sembrava un altro “nuovo che avanza” mentre il capitalismo digitale prometteva “di poter essere imprenditori di se stessi” e non più lavoratori subordinati. In realtà nel primo caso, si è riproposto il vecchio taylorismo anche se in forma digitale, mentre nel secondo ha assunto la forma decentrata di fordismo-taylorismo.
Gli algoritmi permettono una nuova organizzazione scientifica del lavoro, ma usati secondo la vecchia logica capitalista.
Come cambia la cultura del lavoro
Le macchine digitali hanno trasformato e trasformeranno ogni luogo in un luogo di lavoro e ogni tempo in tempo di lavoro, e tutto questo disegna uno spazio che si identifica con la città in cui le persone vivono e lavorano.
Viene meno anche la distanza nel lavoro e si crea una città industriale che è una specie di villaggio globale sempre vivo, interconnesso con altre città produttive , dove l’algoritmo gestisce il flusso dei dati, coordina il lavoro, monitora la produzione, sviluppa il marketing.
E’ opportuno, prima di proseguire la nostra analisi, aprire una parentesi: oggi viene definito impropriamente smart working quello che è semplicemente il telelavoro o lavoro a distanza. La precisazione è importante perché queste due realtà lavorative vengono disciplinate in maniera diversa e coinvolgono, di norma, fasce di lavoratori o lavoratrici diverse.
In particolare lo smart working, in base alla legge n. 81/2017 è “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli di orario o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante un accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.” E’ dunque un lavoro per obiettivi che coinvolge lavoratori di fascia professionale medio-alta.
In questa fase emergenziale le aziende, rispettando anche gli orientamenti espressi dal governo, hanno deciso di far lavorare da casa le persone, indipendentemente dalla qualifica professionale, attrezzando ambienti cibernetici e utilizzando strumenti digitali alimentati da flussi di dati continui che operano in millesimi di secondi.
Questa radicale trasformazione crea le condizioni per strutture produttive organizzative de-materializzate, ovvero non più separate dalla dimensione digitale. Già oggi ci sono esempi (nella grande logistica) che la scelta aziendale che rimpiazzerà le vecchie forme di organizzazione e controllo del lavoro, sarà una piattaforma intelligente del tipo quella impiegata per i lavori “uberizzati”.
In genere nel telelavoro vengono coinvolti lavoratori che svolgono mansioni ripetitive, a basso valore aggiunto, gestibili dalla macchina intelligente con o senza il lavoratore. In questo modo si creano le condizioni ideali per trasferire il posto di lavoro e non più solo il lavoratore che prescinde dalla stessa fisicità della postazione lavorativa.
Il lavoratore che opera in remoto non può e non deve essere lasciato “isolato” nel territorio. Sarà importante, allora, individuare aree, luoghi, spazi per far nascere i “laboratori municipali” che coinvolgano lavoratori che non operano nei locali fisici dell’azienda (Proposta dal Forum Disuguaglianze e Diversità coordinato da F. Barca).
Una “officina municipale” è uno spazio di lavoro raggiungibile a piedi o in bicicletta, sicuro, ben attrezzato e ben connesso. Potrà trattarsi di locali pubblici o privati, di sedi periferiche di aziende ormai chiuse che permetteranno di riportare “un lavoro plurale” in aree che ancora soffrono di emigrazione interna.
Al loro interno potranno lavorare tutti coloro che siano costretti a farlo da remoto, ma non possono o non vogliono utilizzare la propria casa a tale scopo.
La loro organizzazione e i servizi comuni di cui saranno dotati le officine municipali saranno il frutto di una negoziazione tra tre tipi di interessi diversi, quello delle imprese, quello delle comunità territoriali, quello del sindacato dei lavoratori.
Che fare?
A questo punto del nostro percorso è necessario individuare risposte e proposte chiare.
Nel corso della nostra analisi più volte abbiamo sottolineato come gli algoritmi trasformeranno pesantemente il modo di lavorare e di vita, creeranno nuovi modelli di prodotti , di servizi, e profondamente diversa sarà l’organizzazione del lavoro e gli strumenti di gestione.
La prima conseguenza di questi processi di ristrutturazione è e sarà la perdita di posti lavoro. Si ipotizza infatti che nel 2025 il 50% delle attuali mansioni verranno eliminate. La seconda il controllo centralizzato dei lavoratori.
Per contenere tali effetti i lavoratori dovranno avere strumenti di conoscenza e di interlocuzione con l’azienda, affinchè vengano resi trasparenti i motivi della raccolta di informazioni, di dati personali e quelli relativi al loro comportamento dentro l’azienda, dove vengono conservati, trattati, diffusi ed eventualmente venduti.
IL Covid-19 non ha solo accentuato drammaticamente la fragilità e i fattori di crisi dell’attuale modello di globalizzazione, ma ha esplicitato che la sfida oggi è “trasformare gli interventi straordinari in ordinari, mettendo in campo un nuovo modello di sviluppo, un diverso sviluppo delle città e di uso dei territori”. (Vittorio Dezza, 10 dicembre 2020)
Diventa, quindi, fondamentale assumere la formazione permanente come obiettivo primario e ordinario, come diritto a garantirsi un’assicurazione sulla vita, che permetterebbe la partecipazione dei lavoratori alla ri.-progettazione dei nuovi modelli organizzativi e dell’architettura degli spazi di lavoro.
Inoltre, data la rapidità dei cambiamenti legati all’IA, l‘informazione e la consultazione dei lavoratori dovrebbero diventare una pratica consolidata e coerente nella vita delle imprese. In questo contesto fondamentale è il ruolo del sindacato.
Occorre quindi ripensare, nel quadro di uno Statuto dei Lavori 4.0, la contrattazione collettiva nazionale e territoriale, la lotta alle discriminazioni, il contrasto alle forme di lavoro precario e sommerso, la progettazione di strumenti per il controllo degli orari e delle condizioni di lavoro in sicurezza, le libertà sindacali. Primario però, è l’obiettivo di un controllo preventivo sui processi di ristrutturazione..
Oggi è possibile con delle applicazioni (app) contrattare una prestazione lavorativa di pochi minuti, con modalità che permettono una competizione al ribasso della remunerazione di quel lavoro e, soprattutto, senza nessun vincolo contrattuale o di sicurezza.
Da un lato si può parcellizzare la domanda e sottopagare le prestazione, dall’altro si ha l’interesse a svolgere il maggior numero di lavori, tralasciando tutte le forma di tutela della prestazione.
L’algoritmo che sovraintende questo processo di sistematico sfruttamento del lavoratore e ne garantisce l’efficienza dal punto di vista economico altro non è che un “caporale digitale” che tratta i lavoratori come merce e che tenta di ricavarne il massimo profitto a dispetto di tutte le norme di tutela.
Come abbiamo sottolineato in precedenza, il senso comune ha percepito la sviluppo dell’Intelligenza Artificiale solo come fattore di progresso, di sviluppo, senza prevederne le implicazione problematiche.
Sarà necessario a questo punto contrastare radicalmente e tempestivamente questa impostazione, e farne l’obiettivo principale della formazione a tutti i livelli, dalla scuola primaria all’università.
E’ ormai maturo il tempo di avviare una vera e propria campagna di alfabetizzazione digitale di massa che coinvolga le scuole, le aziende, l’università , la cittadinanza attiva , le associazioni, il volontariato, le realtà di quartiere.
E’ necessario, per combattere il potere esercitato dalla macchina digitale, uscire dalla stretta cerchia degli esperti e coinvolgere in modo sistematico, oltre che le istituzioni centrali e soprattutto quelle territoriali , anche il più grande numero di cittadini-utenti che utilizzano i dispositivi digitali nel lavoro , nella scuola, nelle relazioni sociali, nell’attività politica, nelle attività di intrattenimento, nelle redazioni dei giornali e della televisione.
Accanto dovranno operare organismi di operatività indipendenti, riconosciuti e riconoscibili, con l’ausilio di strutture terze di controllo, che possano verificare se ci siano violazione dei diritti, applicazioni scorrette e processi fallaci
Per rendere praticabile questo ordinario e diffuso impegno collettivo è e sarà indispensabile uno stanziamento straordinario per realizzare un Settore di Ricerca specifico sulla materia che possa misurare e valutare gli effetti sociali ed economici dei sistemi intelligenti, per potenziarne l’uso e gli effetti positivi e ridurre i rischi di un uso distorto.
Se l’impatto sociale degli algoritmi è difficile da determinare è necessario ancor di più individuare approcci rigorosi ed efficaci che ci permettano di sapere, in una logica di risultati attesi, come, quando e quanto le decisioni automatizzate influenzano concretamente le nostre vite e, se necessario, contestarle in modo radicale.