Il webinar di ieri a cura del Forum della Finanza Sostenibile “Operatori previdenziali e investimento sostenibile “ prevedeva la consueta ricerca annuale sullo stato dell’arte della finanza SRI nel mondo della previdenza complementare.
La fotografia scattata non è stata particolarmente sorprendente e si andrà ad aggiungere mestamente dentro l’album nero di questo tragico 2020.
Si, è forse proprio questa la nota stonata che ha percorso il webinar della settimana Sri che stretta come in una bottiglia ha raccolto testimonianze e contributi quasi provenienti talvolta da un’altra dimensione.
Ma il collo troppo stretto di questo dibattito ha, a nostro impedito, a raccontare l’unica verità che è davanti ai nostri occhi: neppure la pandemia e l’estenuante gestazione delle direttive Covip in materia di Iorp 2 sono state in grado di smuovere lo stagno in cui versa da anni la previdenza complementare italiana.
Se n’era accorta persino EIOPA che nell’estate del 2019 indagò con degli stress test la previdenza integrativa nazionale.
La sentenza allora fu lapidaria, scrisse l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali che seppure i fondi pensione collettivi guardano alla sostenibilità, non è ancora sufficiente il numero di quanti, adottano degli strumenti per la gestione dei rischi ambientali e di governance ed è addirittura scarso quello di quanti valutano l’impatto ESG su rischio e rendimenti.
Oggi infatti il risultato non cambia.
Ricordiamo che in Italia la Direttiva UE 2016/2341 sulle attività e sulla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali (IORP II) è stata recepita dal decreto legislativo 13 dicembre 2018, n. 147 che proprio all’Art, 4bis al comma 3 recita quanto segue I fondi pensione di cui al comma 1 stabiliscono e applicano politiche scritte in relazione alla gestione dei rischi. Tali politiche sono deliberate dall’organo di amministrazione del fondo pensione. e inoltre al comma 4. L’organo di amministrazione riesamina le politiche scritte di cui al comma 3 almeno ogni tre anni e, in ogni caso, apporta le modifiche necessarie in caso di variazioni significative del settore interessato.
Crediamo che lo allo stato sussistano pochi dubbi che quanto accaduto ai flussi finanziari con la pandemia sia stato profondo ed inedito collocando l’intero scenario in stato emergenziale che avrebbe imposto quanto meno la costruzione di un cantiere di transizione finanziaria.
Perché tanta inerzia allora? Un solo dato per tutti – nemmeno la metà del campione consultato dalla ricerca si dice favorevole ad adottare una politica SRI per i propri asset.
Noi ci chiediamo se invece non sia giunto il momento di focalizzare la prossima ricerca, quella del decennale del Forum, sulle preferenze di sostenibilità degli aderenti e dei sottoscrittori dei piani previdenziali così come ci chiedeva l’Action Plane già nel marzo 2018.
Il pacchetto per la ripresa dalla COVID-19 che ha preso il nome di Next Generation EU deve conquistare la scena se si vuole impedire il declino ed invecchiamento su cui inesorabilmente sta scivolando il nostro mondo previdenziale.
Le organizzazioni sindacali devono fare una profonda autocritica se oggi ancora la previdenza integrativa non rappresenta per i giovani una piattaforma di speranza e di concreto intervento come ci ha suggerito Alessandro Rosina professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, dove dirige inoltre il “Center for Applied Statistics in Business and Economics” (Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico aziendali) che in un bella intervista con il giornalista Vitaliano D’Angerio ha concluso il webinar.
Altrimenti il grande attivismo SRI, che percorre l’industria finanziaria coinvolta in questi eventi, rischia di divenire una pura strategia di marketing più tesa a scuotere il torpore in cui versa l’intero sistema di governance che amministra il risparmio previdenziale dei lavoratori italiani che a proporre un nuovo orizzonte di gestione.
I lavoratori dunque al centro della rivoluzione SRI.