di Guglielmo Pernaselci
Succede che girovagando per la periferia romana in questo Luglio rovente, ci si imbatta, quasi per caso, in una serata dedicata alla poesia romanesca. Succede a Torre Spaccata, dove le strade portano i nomi proprio di quei poeti che chiamarli “minori” e “dialettali” è sacrilegio. In mezzo a quel dedalo di vie grandi e piccole che solo nella periferia romana riescono a coesistere, tra via dei Romanisti. via Belli, via Rugantino, piazza sor Capanna ecc. succede che trovi anche un parco come quello dell’Ex ENAOLI dove tra campi di Padel, giochi per bambini e un po di Pini Marittimi come solo a Roma crescono, il comitato di quartiere ha organizzato una serata di poesia romanesca con il centro studi Giuseppe Gioachino Belli. Succede che basta la poesia in quella lingua nobile e bastarda che è il romanesco per sentirti al centro di Roma (che poi è il centro del mondo) anche se stai in periferia. Meglio del teletrasporto. Che chiudi gli occhi o li tieni bene aperti, quel suono ti porta tra i vicoli di Trastevere, o tra le botteghe del ghetto o in riva al fiume, che pure se non lo nomini lo senti sempre scorrere tra quei versi. Succede poi che senti anche i versi epici di un poeta ingiustamente trascurato e quasi dimenticato: Elia Marcelli e una scheggia della sua opera più grande: Li Romani in Russia. E non si tratta dei Romani quelli antichi che hanno conquistato il mondo ma di quelli un po meno antichi che cercavano di sopravvivere con il loro proverbiale fatalismo a quella grande tragedia che il mondo lo stava distruggendo: La seconda guerra mondiale. E con lo stesso fatalismo cercavano di sopravvivere a quel dittatore che si credeva imperatore e che li aveva scambiati per legionari e catapultati in Russia a fare la guerra al comunismo. Una guerra che a detta del novello imperatore era già vinta in partenza… “na passeggiata de salute” e che invece si trasformò in uno dei peggiori incubi che anche il nostro Elia visse sulla sua pelle. Succede così che Elia Marcelli da poeta vero, non scrive un diario, ma un Poema in versi, per raccontare quello che vide in Russia, e per farlo più schietto, diretto e comprensibile non lo scrisse in Italiano ma in Romanesco.
Tra quelle pagine c’è una storia che a sentirla oggi ti senti il cuore in gola. E’ la storia di Mamma Juliana che fa parte del capitolo “Verso er Donnez”. Succede che il nostro Elia insieme a quella banda di disperati che era l’esercito italiano è impantanato in Ukraina in un piccolo villaggio nel Donnez. Sono rintanati nella casa di una contadina che chiamano mamma Juliana. Juliana non li vede come nemici, anche se suo figlio è al fronte a combattere la sua guerra. Juliana li vede come figli e come figli li soccorre e aiuta per quello che può.
“.. Ciàveva casa piena, poveraccia, de dolori de strilli e de lamenti;
e lei a pulì ferite, a fascià braccia, e assiste giorno e notte li morenti a asciugaje er sudore su la faccia ner delirio de l’urtimi momenti.
E li, su la parete, incorniciato c’era er fijo, vestito da sordato.
Più della fame soffrono la sete, ma prendere l’acqua dal pozzo vuol dire morte certa, perchè un cecchino Russo aspetta proprio li, nei pressi del pozzo l’occasione per uccidere. E allora mamma Juliana andò lei al pozzo pensando che il cecchino a lei non avrebbe sparato.
“… Juliana! … no!.. Ma un colpo de moschetto
de quer cecchino che nun perdonava la prese in petto mentre camminava! …
In guerra manco Cristo è rispettato e l’omo, l’arinchioda imbestialito Mo, a Nichitovka, c’è una croce strana fra quella nostre: quella de Juliana …
E poi ricominciò quer gran duello
noi cor fucile e loro cor cannone zompaveno per aria, in quer macello, quattro o cinque cristiani a ogni esplosione e ne cascava giù quarche brandello! C’ereno ormai rimaste in postazzione due o tre mitrajatrici, un cimitero
de morti attorno, e munizzioni zero!
Succede che una notte d’estate dedicata alla poesia romanesca si trasformi in un momento in cui la storia fa il girotondo e torna a bussare alle nostre coscenze e a ricordarci che tra saluti romani, camicie nere ripulite, a-fascismi nostalgici, la storia, quella vera, arriva a chederti il conto prima ancora che te ne accorgi e che stai li a ripetere la solita frase:
“ricorda …perchè non si ripeta”
E allora buona lettura e buona memoria questa estate, sotto l’ombrellone, con i versi di Elia Marcelli mentre qualcuno cambia la Costituzione.